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Un appassionante viaggio nella stagione fredda, tra miti, racconti, suggestioni. L'intervista di Via Po all'autore di "Inverno", Alessandro Vanoli.
Il sottotitolo del libro è “il racconto dell’attesa”. Attesa di cosa?
L’attesa ha diversi significati, innanzitutto è l’attesa della vita, quella di una natura che durante l’inverno, in qualche modo, si congela e si ferma, sembra quasi morire, aspettando il risveglio. E’ una questione anche fisica, fisiologica, che vale per noi e per gli animali che con il gelo vanno in letargo. Nel libro c’è il racconto di tutto quel mito che porta con sé l’attesa del rinnovamento naturale. Poi c’è un’altra attesa, molto più personale, quella delle feste, quella natalizia del calendario dell’avvento, dei bambini e dei doni, che ricorda in micro la “grande attesa”, cioè il momento in cui tutto ritorna a vivere.
Lei scrive che l’inverno è un periodo di sospensione: dai lavori agricoli, dalla guerra.
Per i lavori agricoli, inevitabilmente, è così, anche se chi vive in campagna sa che non ci si ferma mai: il momento della semina è passato, così anche quello della raccolta delle messi, bisogna quindi aspettare che la natura ritorni a fare il suo lavoro. La sospensione delle attività, soprattutto di quelle esterne, è una tradizione antica. Questo è abbastanza vero anche per la guerra. Per secoli, salvo eccezioni, la guerra si è fatta per necessità in primavera ed estate. La situazione è mutata in tempi recenti. L’inverno, ad esempio, il “Generale Inverno”, è stato un alleato della Russia nella guerra contro la Francia di Napoleone, ma il vero punto di svolta è la prima guerra mondiale: tutti abbiamo in testa l’immagine dei soldati, di quei poveri disgraziati che vivono in trincea con il gelo attaccato addosso, senza potersi cambiare, conducendo una vita terribile. Da quel momento in poi la guerra e l’inverno sono due cose che possono tranquillamente convivere, anzi l’inverno diventa un acceleratore di sofferenza e dolore. Sarà così anche nella seconda guerra mondiale, ma è con la prima che cambia tutto.
Da quando l’inverno viene associato al Natale?
Il Natale è così come lo conosciamo oggi da tempi recenti. C’è una prima storia dell’inverno e del Natale legata alla riflessione che fanno i padri della Chiesa per riuscire a capire quando fosse nato Gesù, cosa che non è affatto spiegata nei Vangeli. Il Natale viene associato a questo momento dell’anno quasi fisiologicamente, perché in questo periodo venivano già celebrate alcune feste pagane che ruotavano attorno al solstizio d’inverno, soprattutto quelle di alcune divinità orientali fra cui Mitra, festeggiato il 25 dicembre. Il nostro Natale, quello con le luci, le decorazioni, l’albero, i regali per i bambini, è molto più recente. Tutte queste cose sono un colato di tante esperienze diverse che diventa attivo e reale nell’800; una delle prime favole in cui tutto questo viene messo a sistema è lo “Schiaccianoci” di E.T.A, Hoffmann, una favola ottocentesca e tedesca che inizia con un interno borghese caldo, pieno di luci e doni spettacolari. Da quel momento si compie la saldatura e quello che viene dopo sono tutti i “pezzi” che conosciamo meglio, anche quelli più consumistici, Babbo Natale compreso.
Babbo Natale viene associato all’immagine della Coca Cola.
In parte consistente si. Per la verità, l’immaginetta del tizio un po’ vecchiotto, con la barba bianca e il vestito rosso è un’invenzione di un disegnatore americano durante la guerra civile, quindi della seconda metà dell’800. E’ un personaggio che ha un buon successo come portatore di doni e che raduna in sé alcuni retaggi precedenti, a cominciare dalla tradizione molto tedesca di Santa Klaus, che poi è lo stesso San Nicola di Bari declinato in modo diverso, e anche di alcuni culti più antichi, sempre di origine germanica. Il successo planetario arriva, però, negli anni ‘30 del Novecento, con l’idea di usare quell’immagine e di farne il volto della Coca Cola per la campagna pubblicitaria invernale. In realtà i suoi colori non sono quelli della Coca Cola, ma è la Coca Cola che vedendo che funzionano li prende e li usa per le sue promozioni. Comunque è evidente che l’immagine di Babbo Natale così come la conosciamo oggi deve molto alla famosa bibita americana.
Natale è anche il presepe e l’albero.
L’albero di Natale ha un’origine nordica e un po’ sconosciuta. Le celebrazioni legate all’abete sono antichissime e non necessariamente legate al periodo invernale. Nelle fonti lo troviamo per la prima volta in Germania, issato nelle piazze, intorno alla fine del 1400, ma entrerà nelle case solo un paio di secoli dopo. Ci sono miti di tutti i tipi legati alla Germania, per esempio alla figura di Martin Lutero. La questione del presepe è, invece, più legata alla tradizione cristiana ed è antichissima. Probabilmente è addirittura più antica del cristianesimo: già in epoca romana i festeggiamenti di questo periodo dell’anno, che ruotavano anch’essi intorno alla trasformazione della natura, prevedevano la realizzazione di piccole edicole in cui venivano messi dei pupazzetti, che rappresentavano i lari tutelari della casa. È difficile dire se ci sia continuità o meno, certo è che a Roma, in alcune chiese, ci sono tracce delle prime raffigurazioni della Natività risalenti all’IX secolo. Dopodiché, un’altra tradizione è quella della rappresentazione sacra che si teneva nelle notti di Natale, normalmente appannaggio dei sacerdoti nelle chiese o dei monaci nei monasteri, durante la quale si cantava, ognuno con un proprio ruolo, c’era chi faceva il pastore, chi l’angelo… Il salto di qualità arriva con San Francesco, nel XIII secolo, quando tutte queste tradizioni si trasformano in una cosa nuova, con la partecipazione di tutta la città, di un’intera comunità, a una scena che diventa la rappresentazione fisica del momento della nascita di Gesù. Da allora il presepe diventa quello che conosciamo noi ed è un presepe complesso perché raccoglie elementi del racconto dei Vangeli sulla Natività, ma anche pezzi di quelli apocrifi, che fino al Medioevo avevano un’autorità enorme. Tra di essi, per esempio, ci sono quelli in cui si parla del bue e dell’asinello. Per arrivare al presepe popolare, quello realizzato nelle case, bisogna aspettare il 1500-1600. E’ a Napoli che un presepe pubblico, con l’uso delle statuette, si trasforma poco alla volta in un presepe privato.
L’inverno, però, prima dell’invenzione dei riscaldamenti è freddo, malattia, disagi. A parte la magia, c’è l’inverno che morde.
La suggestione della magia dell’inverno è molto recente, per viverla sono necessari i riscaldamenti. Prima dell’800 c’è solo il freddo, anche se alcuni pittori e scrittori riescono a rendere il tutto in maniera poetica. La magia si libera con la possibilità di vedere la neve che cade da dietro una finestra, al caldo, altrimenti si spegne. L’inverno di una volta è un po’ inimmaginabile per noi, è un periodo dell’anno che comincia ad ottobre, quando le mura delle abitazioni iniziano poco alla volta a raffreddarsi, e va avanti fino a primavera. Certo si usavano i fuochi, ma i camini riscaldavano solo se gli si stava vicino. Le persone dormivano al gelo. Il rapporto con il freddo era molto intimo, diretto e doloroso.
L’inverno ha ispirato pittori e scrittori.
Per un certo periodo l’inverno è stato raccontato solo in forma allegorica, ad esempio con certi ritratti di personaggi con la barba, ma è intorno al 1300-1400 che si comincia a rappresentare la stagione vera e propria, descrivendo in qualche modo il paesaggio. Questo avviene nella poesia, in letteratura e soprattutto con la pittura. Lo si vede con le prime miniature, realizzate principalmente nel nord Europa dove fa più freddo, per arrivare nel 1500 alle grandi opere pittoriche, per esempio dei fiamminghi. Penso a Pieter Bruegel con il suo “Cacciatori nella neve”, dipinto del 1565, oppure al meno noto, ma comunque bellissimo, “Paesaggio invernale con pattinatori” del 1608, realizzato da Hendrick Avercamp. Poi via via verso il nostro romanticismo, quello di Caspar David Friedrich e i suoi paesaggi invernali, fino al pittore che io amo di più in assoluto, Claude Monet. L’impressionismo si interroga sul problema di come rappresentare la neve, che non è mai bianca davvero, lo è in generale, ma quando la vai a guardare nel dettaglio scopri che è un tripudio di tutti gli altri colori. Se si osserva bene “La gazza” di Monet si vede che la neve non è mai bianca, lo sembra, invece è grigia, azzurra, arancio. Poi c’è la letteratura. Nell’800, in particolare, l’inverno è fonte di grande ispirazione e attenzione. Tra i tanti autori, citerei Lev Tolstoj. Le sue rappresentazioni dell’inverno russo sono una specie di manuale, c’è dentro tutto: l’inverno come passione, la tormenta di neve come esaltazione dei sentimenti (Anna Karenina), l’inverno come grande sfida della natura (Guerra e pace) o come, curiosamente, “grande possibilità”. Questa è una cosa che si capisce tutte le volte che qualcuno salta su una slitta e inizia ad andare veloce: noi pensiamo che l’inverno rallenti, ma i russi no.