ATTUALITÀ
EDITORIALE

Non è vero welfare se non è per tutti

Galvagni: "Le prestazioni private non possono essere sostitutive della rete di servizi di base che il pubblico deve garantire a tutti i cittadini, italiani e immigrati".

Si fa un gran parlare di welfare in tutte le sue declinazioni: aziendale, territoriale, integrativo e via di questo passo. Il tema è sicuramente interessante (non a caso gli dedichiamo la storia di copertina di questo numero di Job), decisivo per un nuovo assetto della società italiana nel suo complesso e, come sindacato, siamo direttamente coinvolti dentro e fuori i luoghi di lavoro.Proprio perché quella del nuovo Stato sociale è una questione dirimente, è necessario stabilire alcuni punti fermi, di principio, una bussola per chi poi, concretamente, decide e contratta i servizi e le prestazioni di welfare.

• Va garantito innanzitutto il sistema universalistico e questo lo può, e lo deve fare solo lo Stato. Le prestazioni private non possono essere sostitutive della rete di servizi di base che il pubblico deve garantire a tutti i cittadini, italiani e immigrati.

• La convenienza economica (gli sgravi fiscali previsti dalla Legge di stabilità 2016) non può essere la sola motivazione a fare welfare. Si rischia di fare come con il Jobs Act, quando gli incentivi finiscono svanisce gran parte degli effetti positivi.

• La continuità delle prestazioni. Non è caso che molti lavoratori siano ancora reticenti a convertire i premi di risultato (soldi in busta paga, magari pochi ma subito) in pacchetti di welfare che oggi ci possono essere e domani no. L’unico modo per rendere stabili i vantaggi acquisiti è inserirli nei contratti collettivi di lavoro. Oggi i benefit derivano ancora in gran parte dalla buona disposizione dell’azienda: i servizi di welfare, vecchio o nuovo, non possono essere erogati per “gentile concessione” di qualcuno ma frutto della contrattazione con i sindacati e le istituzioni. Ci vorrebbe un soggetto terzo a garanzia della conformità e dell’attuazione degli accordi.

• E chi resta fuori? Non tutti hanno la stessa forza contrattuale, in azienda e in generale. I bancari, ad esempio, hanno una lunga e ricca tradizione di welfare integrativo; i metalmeccanici sono riusciti a inserire nel loro ultimo contratto elementi innovativi. E gli altri? Le partite Iva, i somministrati, i lavoratori autonomi che un contratto nemmeno ce l’hanno e che saranno il grosso dell’occupazione futura? Lo stesso vale per i dipendenti della cooperative e delle piccole e medie imprese. Vanno studiati meccanismi e formule, a partire dalla previdenza integrativa, in grado di colmare queste lacune.

• Il territorio. Il nuovo welfare, esteso e inclusivo, si costruisce anche dal basso. A Milano, ad esempio, il recupero delle periferie e di importanti aree dismesse (scali ferroviari) deve prevedere nuovi servizi alla persona (badanti di condominio, assistenza domiciliare e integrata, portinariato sociale) al passo con i nuovi bisogni della popolazione.

19/06/2017
Danilo Galvagni - segretario generale Cisl Milano Metropoli