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Nel 2013, nonostante la crisi, 70 milioni di euro di utili nel nostro Paese. Oggi sciopero di 8 ore e presidio davanti ad Assolombarda. Il comunicato sindacale.
Il 16 luglio 2014 Coca Cola ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 249 dipendenti, a cui vanno sommati gli esuberi derivanti dalla chiusura della struttura di Campogalliano (Mo).
L’apertura di questa procedura è un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto sui dipendenti Coca Cola: lo stesso 16 luglio, alle quattro della mattina, le organizzazioni sindacali e la Direzione Coca Cola sottoscrivevano l’accordo integrativo di Gruppo, in cui oltre ad un premio totale di circa 6.000 euro per il periodo 2014-2016, si affermava che è intenzione dell’azienda consolidare l’occupazione nel nostro Paese, ritenuto strategico dal Gruppo Coca Cola.
Solo poche ore dopo, alle quattro del pomeriggio dello stesso 16 luglio, quelle affermazioni perdevano ogni senso e l’azienda dimostrava la sua schizofrenia: il nostro Paese cessava di essere strategico e il consolidamento dell’occupazione diventava un miraggio, dal momento che il Gruppo Coca Cola comunicava l’intenzione di licenziare più di 300 dipendenti.
E’ il terzo anno consecutivo che Coca Cola decide di ridimensionare gli organici, una cura dimagrante che ha causato la perdita del posto di lavoro a più di 1.000 dipendenti: nel giro di pochi anni Coca Cola in Italia è passata da oltre 3.000 dipendenti a poco più di 2.000.
Struttura produttiva, assistenza tecnica, sede amministrativa e ora struttura commerciale sono state fortemente ridimensionate, e non c’è alcun segnale che sia finita qui! E’ evidente che Coca Cola non considera più strategico il nostro Paese, o quanto meno non ritiene più opportuno reinvestire in termini occupazionali una parte di quegli utili che ogni anno l’Italia garantisce al Gruppo di Atlanta. Nel 2013, pur in presenza di una situazione di crisi, la divisione italiana ha generato ben 70 milioni di euro di utili.
Il ruolo dell’Italia è quindi quello di un bancomat, dove si passa soltanto a prelevare per fare occupazione in altri luoghi d’Europa, luoghi dove i diritti e i salari dei lavoratori sono nettamente inferiori a quelli italiani, francesi, spagnoli e tedeschi. E’ questa, ad esempio, la motivazione dichiarata dall’azienda a base del trasferimento delle attività amministrative dal nostro Paese alla sede di Sofia; e poco importa che tale trasferimento non garantisca le efficienze della sede italiana; visto che Coca Cola è affezionata soltanto al risparmio in termini salariali, e non già alla buona occupazione.
Pochi anni fa il Governo italiano decise di introdurre la famosa «tassa sulle bollicine». Coca Cola, con il sostegno fermo e convinto delle organizzazioni sindacali, persuase il Governo che l’introduzione di quella tassa avrebbe messo a rischio l’occupazione in Italia. Risultato finale: la tassa è stata ritirata ma l’occupazione è diminuita sensibilmente con un corrispondente aumento degli utili.
Queste sono le forti argomentazioni sostenute da FAI-FLAI-UILA nell’incontro in Assolombarda del 25 luglio per respingere la procedura di mobilità, per convincere la società a mettere in campo investimenti e strumenti alternativi ai licenziamenti, strumenti che potrebbero gestire efficacemente eventuali necessità riorganizzative della struttura di vendita.
Le risposte della direzione sono state a dir poco imbarazzanti, ed è apparso chiaro che il gruppo dirigente italiano - svolge un semplice ruolo di esecutore di decisioni assunte ad altri livelli, non essendo in grado di offrire alcuna garanzia sul futuro di Coca Cola in Italia.
Come se tutto ciò non bastasse, la direzione Coca Cola ha dichiarato l’indisponibilità a ritirare la procedura di licenziamento, limitandosi a qualche generico e fumoso impegno a ricercare strumenti non traumatici per gestire i licenziamenti, e facendo riferimento semplicemente ad esigenze di pragmatismo, irrispettose del destino di centinaia di lavoratrici e lavoratori.
A fronte di queste dichiarazioni il Coordinamento nazionale ha deciso una serie di iniziative, a partire dallo sciopero di 8 ore con presidio, dalle ore 9.30, davanti a alla sede di Assolombarda (via Pantano 9), a Milano, il giorno 31 luglio quando si terrà l’incontro tra sindacati e azienda.