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Dalla Gran Bretagna arriva un quartetto di ex-grafici che si è inventato un genere tutto suo. L’accostamento tra vecchio e nuovo ha conquistato un pubblico alternativo e di intenditori. E per l’esordio milanese li abbiamo intervistati sul loro tourbus.
Un pubblico variopinto e scanzonato ha accolto con un entusiasmo inaspettato lo sbarco in Italia dei Django Django. Se il nome non dice granché ai più, questo video di Storm , il loro primo tormentone ( http://www.youtube.com/watch?v=XdSfi40RzeY ) sicuramente vi catturerà. Il quartetto, con il suo mix di surf rock anni 60, elettronica e ritmi tribali è arrivato a Milano per una data pienissima al locale Tunnel per presentare l’omonimo album di debutto.
La band si è formata in una scuola d’arte due anni fa. I componenti hanno fatto la gavetta da studenti e collaboratori di studi grafici. E poi è arrivato l’emersione dall’anonimato. Ne abbiamo parlato con il batterista, David MacLean, e il tastierista Tommy Grace, entrambi scozzesi. Ci hanno accolto sul loro tourbus che stanno utilizzando per spostarsi ogni giorno in una città diversa d’Europa.
La vostra musica sembra attirare interesse e consensi in tutto il continente, come mai?
Perché facciamo le cose senza pensare ai produttori o alle classifiche. Volevamo che questo disco fosse un testamento delle cose che ci piacciono. Una parte di noi ascolta il rap, altri vanno pazzi per l’elettronica. E poi c’è una radice comune che ci riporta ai Beatles e ai Beach Boys.
Pensate che l’originalità sia un vantaggio?
Non sempre, perché specialmente in Inghilterra se diventi famoso subito ti accostano a un filone e non ti stacchi più da quella dimensione. Ma la musica è fatta per unire e noi vogliamo davvero essere ascoltati da tutti. E questo in parte ci sta capitando. Molte persone che ci vengono a vedere ci scrivono dicendo che si organizzano con le baby sitter, quindi sono già genitori. Altri si lamentano invece che alcuni pub dove suoniamo non fanno entrare gli under 18.
Quando si parla di voi, si parla molto del vostro pubblico, che sembra essere molto esigente, da intenditori con un occhio alle cose che vanno di moda prima che diventino di moda.
Basterebbe guardarci in faccia per capire che poi non siamo così alla moda. Crediamo che la mescolanza dei generi abbia fatto la differenza, perché nessuno credeva che potesse funzionare. I primi che se ne sono accorti sono stati i fans su internet. Poi è arrivato il disco, la gente lo sente e pensa: come hanno fatto? Quando il disco non esisteva ancora abbiamo avuto molte difficoltà a farci conoscere. Perché fin quando non ascolti quello che facciamo è difficile crederci.
I vostri testi non sono seriosi, fate solo musica per divertimento?
Abbiamo un senso dell’umorismo comune anche se siamo per metà scozzesi e inglesi, ma siamo cresciuti tutti con gli stessi riferimenti comici e questo è un tratto distintivo delle canzoni. Parlano di cose comuni, specialmente delle contrapposizioni, come essere tristi mentre gli altri si divertono. Tutti prima o poi ci sentiamo così.
Cosa farete ora che siete degli emergenti affermati?
Vogliamo fare subito un nuovo disco perché vogliamo che la band sia sempre fresca, senza troppi ripensamenti. Sappiamo che ci sono pochi musicisti oggi che possono avere un seguito globale, e molti hanno una carriera…normale. A noi piacerebbe continuare a proporre le nostre idee.