ATTUALITÀ
0

Ospedali, piccolo spesso è utile

Nell'ambito della così detta spending review il Governo sta in in questi giorni prendendo in considerazione la possibilità di chiudere gli ospedali più piccoli, con meno di 80 posti letto. Se così fosse si tratterebbe dell'ennesimo taglio ad un settore, la sanità, già pesantemente colpito dalle manovre precedenti. I rischi connessi a questo continuo calo di risorse sono noti, e possono essere riassunti in una minore accessibilità alle cure, soprattutto per le persone in condizione più svantaggiate, dal punto di vista economico e sociale. Detto questo, vogliamo qui affrontare la questione da un'angolazione diversa, entrando un po' più nello specifico per cercare di formulare una proposta alternativa.

I piccoli ospedali, che non potranno mai fornire un livello di cure paragonabile a quello delle grandi strutture, che sono dotate di risorse molto più grandi, sia in termini di tecnologia che di altissima specializzazione di medici e personale sanitario, possono essere l'occasione per creare quel raccordo tra medicina territoriale e ospedaliera di cui tanto si parla ma per cui poco è stato finora fatto.

Per capire a cosa ci stiamo riferendo è utile partire dalla domanda sanitaria, che è sempre più composta da pazienti anziani, affetti da patologie croniche, che necessitano, al di là del momento della malattia acuta, che va trattata con il massimo delle risorse disponibili, ossia in un ospedale specializzato, di un'assistenza di minore intensità ma che duri più a lungo nel tempo. Per intenderci, un paziente anziano che viene dimesso tre o quattro giorni dopo aver subito un intervento chirurgico non è quasi mai in grado di cavarsela da solo e ha bisogno sia di assistenza infermieristica sia, nel caso in cui non abbia una famiglia forte alle spalle, di un posto dove poter stare in attesa di recuperare la propria autosufficienza.

In questo senso, i piccoli ospedali oggi esistenti, quasi sempre collocati in provincia, potrebbero essere utilmente trasformati in quelli che comunemente vengono chiamati “Ospedali di Comunità”, ossia delle strutture, gestite dai Medici di Medicina Generale, create per soddisfare questo tipo di domanda sanitaria.

Queste presidi potrebbero essere la risposta naturale ad un determinato segmento di domanda sanitaria, sul modello di quel che avveniva qualche decennio fa, quando la medicina non aveva ancora raggiunto gli attuali livelli di tecnologia e specializzazione.

Anche qui un esempio può essere utile. Non è detto che un paziente affetto dalla riacutizzazione di una sua vecchia malattia cronica abbia necessariamente bisogno un reparto super-specializzato. Magari l'attacco di ipertensione o le difficoltà respiratorie, conseguenze di un'affezione asmatica, possono essere altrettanto ben curate dal proprio medico di famiglia in un Ospedale di Comunità, in una dimensione più vicina a quella familiare, con orari e modalità di visita da parte dei parenti più flessibili, che si adattino alle diverse esigenze di ciascuno.

Gli Ospedali di Comunità consentirebbero poi di ridurre gli accessi impropri al Pronto soccorso, i ricoveri pure impropri negli ospedali per acuti, di contenere i costi di degenza, a causa della loro minore complessità tecnologica e di promuovere una maggiore integrazione tra ospedale e territorio, soprattutto attraverso la valorizzazione del ruolo dei medici di famiglia, che tra l'altro, potrebbero avere la soddisfazione di seguire i loro pazienti nel percorso terapeutico più a lungo di quanto facciano oggi, con evidenti vantaggi anche in fatto di crescita professionale.

Infine, costituirebbero un esempio concreto di come si può davvero mettere il paziente al centro del sistema. L'Ospedale di Comunità si porrebbe infatti come una struttura aperta e flessibile, che prima di tutto ascolta il paziente in tutte quelle che sono le sue legittime esigenze, al di là delle astratte distinzioni tra aspetti sanitari e sociali, che tendono a creare un'assistenza a compartimenti stagni.

Perciò, ritornando alle decisioni all'esame del Governo, pensiamo che i piccoli ospedali vadano visti come un'opportunità per riformare il sistema e non solo come un costo e che chiuderli tout court non sarebbe una scelta lungimirante.

06/07/2012
Giovanni Provasi