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Il religioso, nominato da papa Francesco patriarca di Gerusalemme: "Dovremo lavorare con le tante persone, di ogni fede, che credono ancora ad un futuro insieme e si impegnano per esso".
Caro amico/a,
Purtroppo non è la prima volta e temo nemmeno l’ultima in cui dovremo fare i conti con queste fiammate di violenza e di guerra in Terra Santa. Queste esplosioni di violenza lasceranno solo più macerie, morti, rancore e sentimenti di odio, ma non porteranno alcuna soluzione. Assisteremo alle accuse reciproche sull’uso della forza, probabilmente si ricorrerà ai tribunali internazionali, accusandosi a vicenda, ma alla fine tutto tornerà come prima, fino alla prossima crisi.
Finché non si affronteranno i problemi che da decenni affliggono questi paesi e questi popoli, infatti, temo che saremo costretti ad assistere ad altra violenza e ad altri lutti.
Gerusalemme è il cuore del problema e questa volta è stata la scintilla che ha incendiato il Paese. Come risaputo, tutto è nato dalla ormai nota questione di Shekh Jarrah, che è presentata come una questione giuridica. Essa, tuttavia, come abbiamo già ribadito anche nella nostra precedente dichiarazione, è evidentemente anche una decisione politica di ulteriore espansione di insediamenti ebraici a Gerusalemme est. È una decisione che sconvolge il già molte volte infranto equilibrio tra le due parti della città e fonte di tensioni e dolore. Questa crisi, comunque, indica che questa metodologia non funziona e che nessuna soluzione su Gerusalemme potrà essere imposta. La soluzione potrà solo essere frutto del dialogo tra israeliani e palestinesi, che dovranno entrambi fare propria la vocazione aperta, multireligiosa e multiculturale della città.
Quanto detto per Gerusalemme si può estendere a tutta la questione israelo-palestinese. Il popolo palestinese attende da anni una soluzione dignitosa, un futuro sereno e di pace, nella sua terra, nel suo Paese. Per loro, invece, sembra non esserci posto nel mondo e, prima di poter vivere con dignità a casa loro, sono continuamente invitati dalle varie Cancellerie ad attendere un futuro sconosciuto e continuamente rimandato.
Ma ancora più preoccupante è stata l’esplosione di violenza nelle città miste di Israele, dove ebrei e arabi hanno sempre vissuto insieme e di cui penso si sia parlato poco nei media internazionali. Abbiamo assistito a violenze, ronde organizzate, tentativi di linciaggio da entrambe le parti, ebrei e arabi… un’esplosione di odio e di rifiuto dell’altro che probabilmente covava da tempo e che ora è emersa violentemente e ha trovato tutti impreparati e spaventati.
Tutto ciò è frutto di anni di linguaggio politico violento, di cultura e politica del rifiuto dell’altro, di disprezzo. Poco alla volta, questi atteggiamenti hanno creato tra i due popoli una separazione sempre più profonda, di cui forse non ci eravamo resi conto fino ad oggi. Ci vorrà molto tempo per ricostruire queste relazioni oggi profondamente ferite. Dovremo lavorare con le tante persone, di ogni fede, che credono ancora ad un futuro insieme e si impegnano per esso. Sono tante. Ma hanno bisogno di sostegno, di qualcuno che sappia portare la loro voce nel mondo intero.
Dovremo ricominciare a ricostruire daccapo le relazioni tra tutti noi, e in questo senso sarà prioritario partire proprio dalla dolorosa scoperta di questi giorni, cioè dal rancore che covava soprattutto negli animi dei giovani. Anche se impopolare parlarne in questi giorni, non dobbiamo coltivare né permettere che si sviluppino sentimenti di odio. Dobbiamo far si che nessuno, sia ebreo che arabo, si senta rifiutato. Dovremo essere più chiari nella denuncia di ciò che divide. Non potremo ritenerci soddisfatti di incontri interreligiosi di pace, pensando di avere risolto così il problema della convivenza. Ma dovremo davvero impegnarci perché nelle nostre scuole, nelle nostre istituzioni, nei media, nella politica, nei luoghi di culto risuonino il nome di Dio, di fratello e di compagno di vita. Dovremo imparare ad essere più attenti al linguaggio che usiamo e prendere coscienza che la ricostruzione di un modello serio di relazioni tra noi richiederà tempi lunghi, pazienza e coraggio. Avremo bisogno di una nuova alleanza, tra persone di buona volontà che, indipendentemente da fede, identità e visione politica, senta l’altro come parte di sé e desideri impegnarsi a vivere con questa coscienza.
Questa crisi deve riportare al centro dell’agenda internazionale la questione israelo-palestinese, che ultimamente sembrava dimenticata e superata, ma che comunque ha sempre continuato ad essere una ferita aperta e dolorosa. La ferita era solo coperta, nascosta, ma mai curata. Tolta la fascia che la copriva è ritornata visibile e dolorosa forse ancora più che nel passato.
Vi invito a pregare per la Chiesa di Gerusalemme, perché possa essere una Chiesa che supera muri e porte chiuse; che crede, annuncia, costruisce la pace, ma “non come la dà il mondo” (Gv 14,27). Abbiamo, infatti, assistito già troppe volte ad annunci di pace traditi e offesi. La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai.
+Pierbattista
Gerusalemme, 18 Maggio 2021