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Liliana Segre: ad Auschwitz ho vissuto una esperienza "indicibile"

Alla Cisl intensa testimonianza della "ragazzina ebrea di 13 anni", oggi 85enne, sopravvissuta ai campi di sterminio. Presentato il libro "Partigiani senza fucile".

Alla fine in molti si sono commossi. Era difficile il contrario, l’emozione non poteva non prendere il sopravvento dopo più di un’ora di racconto della storia di una bambina milanese di 13 anni che, all’improvviso e inspiegabilmente, ha visto la sua vita sconvolta. Unica colpa quella di essere ebrea, anche se la sua famiglia da più di 200 anni era radicata in Lombardia ed era a tutti gli effetti milanese.


Le parole di Liliana Segre, 85 anni, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, sono arrivate direttamente ai cuori di una platea, composta soprattutto da studenti delle scuole superiori, che ieri mattina ha affollato la sala Grandi della Cisl di via Tadino. “Il senso della Memoria” il titolo dell’incontro, incentrato appunto sulla testimonianza della signora Segre, e occasione per presentare il libro-video “Partigiani senza fucile” pubblicato nella collana i “Quaderni di Job”. Un progetto, quello sintetizzato nella pubblicazione, fortemente voluto dalla Cisl milanese e diretto in modo particolare ai giovani delle scuole (significativa la presentazione del professor Marco Bussetti, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Milano).

Lo spunto, i 70 anni della Lotta di Liberazione dal nazifascismo (2015) e i 70 (2016) della Costituzione repubblicana che è appunto, il risultato, più significativo della  Resistenza. Il titolo del libro “Partigiani senza fucile” non è in alternativa, tutt’altro, a chi in quella stagione il fucile lo ha inevitabilmente usato. E’ il modo, attraverso il contributo di esperti  (Giovanni Bianchi, Antonio Pizzinato, lo storico Guido Formigoni) e le testimonianze dei protagonisti dell’epoca (Nedo Fiano, Liliana Segre, don Giovanni Barbareschi, Luigi Castrezzati e altri) di evidenziare come accanto alla lotta armata ci sia stata anche una lotta di popolo che ha determinato e poi sostenuto la prima. Oltre ai contributi scritti, ci sono anche una serie di videointerviste realizzate da Mauro Cereda, raccolte in un chiavetta Usb.


Tornando alla testimonianza di ieri, la signora Segre, al pari di altri sopravvissuti come Primo Levi, ha premesso come l’esperienza di chi è stato nei campi di sterminio sia di per sé “indicibile”, ovvero non descrivibile completamente. Non è, in effetti, un caso che la stessa Segre abbia iniziato a raccontare pubblicamente quello che le è accaduto in età adulta “quando ero già nonna”, come dice lei. Difficile riuscire ad esprimere compiutamente il suo racconto perché oltre  alla date, ai fatti, alle persone ricordate, quello che ha dato il “senso della Memoria” è stato anche il tono della sua voce: lucida, precisa, senza un filo di emozione apparente, in alcuni passaggi quasi teatrale.

Si capisce che i lunghi anni di silenzio pubblico sono serviti ad elaborare quello che era successo 70 anni fa. Se la componente intima (“A un certo punto sono diventata egoista, pensavo solo a me, l’unico interesse era continuare a vivere”)  è senz’altro quella prevalente, nella parole della Segre non sono mancati i giudizi storici: la crudeltà degli aguzzini nazisti, l’indifferenza della gente comune, che non poteva non sapere o quantomeno avere qualche dubbio, quella degli Stati (“Perché gli Alleati non hanno bombardato le ferrovie, gli stabilimenti, i campi?”), e persino del nascente  Stato ebraico (“Quelli che erano in Palestina non volevano essere disturbati da certe notizie…”).


Un’esperienza unica e purtroppo sempre meno frequente per gli adulti e per i ragazzi.

12/04/2016
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