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Dal 6 maggio 2015 bastano 6 per chiedere la cessazione degli 'effetti del matrimonio' ma gli uffici preposti non sono in grado di far fronte alle richieste. Ecco cosa succede negli altri Paesi europei.
Da tempo si discute in Italia sull’opportunità e sul significato del “doppio passaggio” che la famiglia in crisi, ed in particolare la coppia coniugale, deve affrontare: prima la separazione legale, poi il divorzio. Separazione consensuale o giudiziale, una scelta che comporta tempi diversi, modalità diverse, conflitti diversi, impegni emotivi diversi. Con la separazione consensuale i coniugi in crisi possono ottenere l’autorizzazione a vivere separati in qualche mese, con la separazione giudiziale, occorrono anni prima di poter avere la sentenza definitiva di separazione, passata in giudicato. A seguito di tale primo percorso, i coniugi separati possono chiedere il divorzio, congiunto o giudiziario che sia. Sino al mese di aprile 2015, marito e moglie, una volta separati, dovevano attendere 3 anni dall’udienza di comparizione innanzi al Presidente del Tribunale, prima di poter depositare il ricorso di divorzio. Il 6 maggio 2015 è finalmente uscita in Italia la legge, con la quale si è data la possibilità alle parti di non rimanere nel limbo tra la separazione ed il divorzio per la durata di tre anni, ma di poter chiedere la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, qualora si sia contratto un matrimonio religioso, o lo scioglimento del matrimonio, qualora si sia contratto un matrimonio civile, dopo 6 mesi dall’udienza di separazione consensuale o giudiziale.
Le polemiche
Ovviamente, sono sorte, all’istante, diverse polemiche sulla bontà di questa legge, sull’allarme di un ipotizzato ingolfamento degli uffici comunali che non avrebbero potuto gestire la mole di richieste, sull’opportunità di lasciare l’obbligatorietà del doppio passaggio: prima la separazione, poi il divorzio. Io credo che questa sia una buona legge. Innanzitutto, in Italia ci sono tante coppie che scelgono di rimanere separate e di non divorziare, per cui è giusto lasciare aperta la possibilità di ottenere la separazione e poi, per chi lo desideri, il divorzio. Forse si sarebbe potuto offrire l’opportunità, a chi avesse voluto, anche di poter divorziare direttamente, senza doversi prima separare, ma questo è un altro discorso. Si riapre la negoziazione su tutti i profili che regolano la vita dei coniugi separati: l’affidamento esclusivo o condiviso, le modalità di frequentazione dei figli, il collocamento dei figli stessi, l’assegno di mantenimento per i figli, l’assegno di divorzio per il coniuge, l’assegnazione della casa coniugale e, nel caso di divorzio congiunto l’eventuale trasferimento di beni immobili o altri profili attinenti la vita della famiglia. Sicuramente è un percorso che riapre vecchie ferite che può riattivare conflitti e difficoltà nel portare avanti una tale scelta, tant’è che si parla di “divorzio psichico”, proprio per indicare il disagio dei coniugi a sottoscrivere il definitivo addio.
Il passaggio di gestione dai Tribunali agli Uffici Comunali, se hanno da una parte facilitato le procedure burocratiche ed i costi (solo € 16,00), dall’altro hanno creato un carico non indifferente agli uffici, che non avevano assolutamente previsto e quindi organizzato l’affluenza massiccia che si è vista riversare sugli stessi, allungando sempre di più i tempi di attesa.
Purtroppo i dati sono allarmanti, da Torino a Bari, per tutto lo stivale i tempi di attesa per il primo appuntamento passano dai 25 giorni a Firenze a Genova con un anno, a Bari 15 mesi! E questo è veramente una incresciosa e triste realtà che, a nostro parere, potrebbe anche portare una nuova occupazione se i Comuni, attraverso nuove assunzioni, volessero risolvere il problema delle lunghe attese realizzando infine il divorzio breve.
COSA FANNO IN EUROPA
In Italia, si sa, per sciogliere definitivamente il legame matrimoniale ci vogliono due giudizi, la separazione ed il divorzio. Con le recenti riforme sul divorzio breve, le cose sono migliorate ed i tempi di attesa fra l'uno e l'altro giudizio si sono ridotti. Tuttavia non è ancora possibile, in linea di massima, procede al divorzio immediato.
Ma la regola non vale per tutti e chi ha la fortuna di possedere un qualche elemento di internazionalità può tentare di divorziare, anche in Italia, con una diversa legge, che magari ammette il divorzio “lampo”.
Da tempo, infatti, (dal 2000, dopo il Trattato di Amsterdam) l'Unione Europea tenta di semplificare le procedure civili dei Paesi membri, per far sì che si possa uniformarle a beneficio del costituendo Spazio giuridico europeo.
Qual'è il giudice competente?
Con
Regolamento UE n. 2201/2003
si stabiliscono regole in merito alla giurisdizione degli Stati membri in materia di divorzio, separazione personale ed annullamento del matrimonio, oltre che all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.
Si stabilisce cioè quale sarà il giudice competente a decidere sulla relativa domanda giudiziale. Tale regolamento si applica a prescindere dalla volontà delle parti.
Secondo tale normativa, infatti, qualunque persona che sia o residente in uno Stato membro o cittadino di uno Stato membro può esser convenuto in un giudizio in un altro Stato membro se competente a decidere, e cioè nel caso in cui ivi si trovi:
- la residenza abituale dei coniugi, o l'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o la residenza abituale del convenuto, o , in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso.
Con quale legge ci si può separare o divorziare?
Il
regolamento UE 1259/2010
in vigore dal 21 giugno 2012, costituisce nel nostro ordinamento una vera rivoluzione perché introduce la possibilità per i coniugi di scegliere (optio legis) quale legge applicare all'interno di un elenco predefinito, purché si sia di fronte a casi che abbiano risvolti trasfrontalieri, ossia:
la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o
la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o la legge del foro.
Il regolamento si applica solo agli Stati membri che hanno deciso di parteciparvi (non trattandosi di materia di competenza diretta dell'Unione, ma avendo agito il legislatore su un piano di mero rafforzamento della cooperazione), ossia, ad oggi: Austria, Belgio, Bulgaria,Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Portogallo, Slovenia, Spagna (ossia 16 dei 28 Stati membri).
L'ambito di applicazione è limitato alla separazione ed al divorzio (contrariamente al Reg. 2201/2003 che come visto si occupa anche di genitorialità) e non risolve i problemi connessi alle questioni patrimoniali fra coniugi o di mantenimento della prole.