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A Milano e in altre province si riesamina la situazione del reddito quando si aggiorna il documento. Anolf: “Illegittimo e razzista, intervenga l'Ue”.
Tecnicamente si chiama permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo, ma tutti la chiamano carta di soggiorno.
Gli immigrati possono averla solo dopo cinque anni di presenza regolare in Italia, se dimostrano di avere un reddito e un alloggio adeguati , dopo aver versato 200 euro e superato un test di italiano. È un traguardo ambito, perché è un permesso “a tempo indeterminato”. O, almeno, così dovrebbe essere.
Diverse Questure, a cominciare da quella di Milano, hanno infatti iniziato a revocare le carte di soggiorno a chi non è in grado di dimostrare di avere percepito negli ultimi anni un determinato reddito da fonti legali. Una tagliola nella quale rischiano di finire gli immigrati, e sono tanti, che con la crisi economica hanno perso il lavoro.
La revoca scatta quando i cittadini stranieri chiedono un duplicato o l’aggiornamento della carta di soggiorno, ad esempio perché hanno avuto dei figli o perché devono cambiare la foto, cosa da fare ogni cinque anni per far valere la carta anche come documento di identità.
Se la Questura scopre che il titolare non ha avuto un lavoro regolare o non sono stati versati tutti i contributi, boccia la sua domanda. In pratica l’immigrato viene esaminato di nuovo e gli viene chiesto di rientrare negli stessi stretti requisiti previsti per il primo rilascio della carta di soggiorno.
In realtà il Testo unico sull’immigrazione prevede la revoca della carta di soggiorno solo in alcuni casi precisi, come quando lo straniero diventa pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o quando si allontana per dodici mesi consecutivi dall’Ue. Non parla di nuove verifiche sul reddito.
“Quella della Questura di Milano è una prassi illegittima e deve finire” dice a
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Maurizio Bove, presidente dell’Anolf di Milano, che ha sollevato il caso. Ma la Questura come giustifica i rigetti? “Sostenendo che se uno non può dimostrare un reddito certo, col versamento di tasse e contributi, ha lavorato in nero ed è un evasore fiscale. E per questo andrebbe punito con la revoca della carta di soggiorno”.
“C’è insomma una presunzione di colpevolezza, – attacca Bove- quando invece con l’attuale situazione economica sono in tanti ad aver perso davvero il lavoro. Tra l’altro, se davvero si vuole colpire l’evasione, perché partire dagli ultimi? Comunque si fa una cosa non prevista dalla legge. Per questo, dopo l’ennesimo rigetto, abbiamo presentato un ricorso al Tar e intanto aspettiamo un intervento da Bruxelles”.
Bove e il presidente nazionale dell’Anolf, Mohammed Saady, hanno segnalato quello che succede alla Direzione Generale Affari Interni Commissione Europea, chiedendo che venga fatta chiarezza. In una lettera molto dettagliata hanno sostenuto che queste revoche delle carte di soggiorno sono contrarie alla normativa europea, oltre che discriminatorie.
"L’ipotesi che la disoccupazione sia una scelta intenzionale di coloro che acquisiscono lo status di lungo soggiornanti - scrivono Saady e Bove - può essere considerata fondamentalmente razzista. Inoltre, se l’evasione fiscale e altre forme di elusione possono essere una pratica frequente in Italia, sarebbe davvero imbarazzante sostenere che questa prassi appartiene soltanto alla popolazione migrante".
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