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No intrasingente alla trasformazione in spa della cooperativa; massima flessibilità e disponibilità a rivedere cosa funziona e guardare avanti. La Cisl ribadisce la sua posizione, che non è ideologica, ma parte dal ruolo che gli istituti di credito cooperatvo hanno avuto e possono avere come leva dello sviluppo del territorio. Il contrario delle banche 'predatorie' che hanno provocato la crisi.
Tutto il sistema della banche popolari cooperative è sotto attacco. Le assemblee dei soci delle prossime settimane saranno il primo banco di prova dello stato di avanzamento dell’ offensiva che ha come primo obiettivo la popolare di eccellenza, quella di Milano. Già il 22 giugno potrebbe essere formalmente dato il via al progetto di trasformazione della Bpm da cooperativa in spa. Ma non è detto perché l’opposizione al progetto messo appunto dall’attuale amministratore delegato Bonomi. Ad iniziare da quella della Cisl che ieri ha spiegato i motivi del no in un affollatissimo convegno organizzato dalla Fiba, i bancari della Cisl, alle ex Stelline.
Danilo Galvagni, segretario generale di Cisl Milano metropoli ha messo subito in chiaro che il no alla trasformazione dello status giuridico di Bpm, scaturisce essenzialmente dal rapporto che storicamente la banca ha con il territorio proprio grazie alla struttura cooperativa che privilegia la dimensione sociale-produttiva a quella finanziaria-speculativa. L’importante – ha sottolineato Galvagni- è riuscire a mettere subito tutte le parti in causa per trovare una soluzione che ponga al primo posto gli interessi della città di Milano e del territorio, in una prospettiva di sviluppo. Il sistema creditizio è fondamentale per la ripresa della nostra economia, sia a livello locale che nazionale, e abbiamo bisogno di aziende creditizie che sostengano veramente gli investimenti invece di avere come finalità ‘statutaria’ la speculazione finanziaria.
E’ toccato a Giuseppe Gallo, segretario nazionale di Fiba, spiegare, in modo analitico e puntuale, il perché del no a Bpm spa. L’intransigenza della difesa della forma cooperativa che sia accompagna alla disponibilità a discutere tutti i possibili aggiornamenti e miglioramenti della stessa, significa che il no alla spa non è di tipo ideologico. Il venir meno della democrazia diffusa garantita dal fatto che i dipendenti sono al tempo stesso soci e che vale il principio ‘una testa (azione) un voto’, la dimensione territoriale e azionaria e altro ancora, esporrebbe la sbanca a scalate e altri interventi con finalità speculative che rappresenterebbero la ‘pietra tombale’ di un’esperienza positiva che va avanti da 150 anni. Bpm entrerebbe di fatto nel novero delle banche ‘predatorie’, quelle dal guadagno facile, dagli investimenti a breve termine che hanno a cuore più la finanza speculativa che l’economia produttiva. In altre parole quel modello di banca che è la causa della crisi mondiale che va avanti ormai da cinque o sei anni.
Al contrario il modello cooperativo, per i suoi legami con il territorio e il sistema delle imprese può rappresentare un’uscita di sicurezza dalle attuali difficoltà, la leva per un nuovo sviluppo.
Il professor Giulio Sapelli, della Statale di Milano, ha tra l'altro spiegato da cosa hanno origine gli appetiti nei confronti delle popolari e anche come l'intero sistema cooperativistico sia stato penalizzato da nuove leggi sbagliate e controproducenti.
Un no al progetto di trasformazione di Bpm, ampiamente motivato che non è, come detto (lo ha sottolineato nelle conclusione anche il segretario di Cisl Lombardia Gigi Petteni) , un’acritica e nostalgica difesa del passato ma, al contrario, uno sguardo aperto al futuro con piena disponibilità a correggere gli errori e individuare i correttivi di una formula che deve essere aggiornata ma non cancellata. L’impressione è chi, di fatto, vuole cambiare lo status giuridico di Bpm, consideri la forma cooperativa una zavorra per il raggiungimento di obiettive che non hanno niente a che fare con la mission fondativa della banca.
Questa è la posta in gioco, e non è poca cosa.