DONNE
SOCIETA'

Roba di donne. Questione di tutti

In Italia la disoccupazione femminile è ancora alta e l'obiettivo di Lisbona (60% di donne occupate) è ancora lontano.

Mi preoccupa molto l'atteggiamento che vedo spesso assumere nei confronti di quella che in modo limitato viene chiamata "questione femminile". In ogni ambiente, società in generale e organizzazioni in particolare, le posizioni che generalmente vedo assumere rispetto a questo argomento si possono riassumere in due tipi: 1. "non esiste" 2. "robe da femmine". Quelli della prima categoria fanno discorsi del tipo "la questione femminile non esiste, esiste solo la questione dei talenti e dei meriti". Mi sembra chiaro che chi sostiene una posizione del genere non abbia mai visto una statistica sull'argomento, non sappia che in Italia la disoccupazione femminile è ancora alta e l'obiettivo di Lisbona (60% di donne occupate) è ancora lontano da venire, che le donne fanno maggiore fatica a raggiungere posizioni di vertice nelle organizzazioni, che guadagno meno dei loro colleghi uomini. Dire che il problema non esiste vuol dire negare questi dati che, invece, danno informazioni molto esplicite e indiscutibili sulle difficoltà che hanno le donne in ambito lavorativo, e organizzativo in genere, a farsi strada. Oppure è consapevole di questo ma semplicemente ritiene che la natura abbia elargito merito e talento in maniera  oltremodo selettiva distribuendone prevalentemente alla sola metà maschile del pianeta. Perché, non dimentichiamolo, fra le forme di disparità questa forse è la più clamorosa visto che incide su ben il 50% della popolazione mondiale. È una cosa ridicola? Vorrei che lo fosse, ma purtroppo ho il timore che qualcuno creda davvero che le donne siano geneticamente inferiori, inadatte al lavoro (o almeno ad alcuni di essi), incapaci di svolgere certi ruoli soprattutto di responsabilità. E lo dimostra ancora l'attitudine di molti uomini a considerare le donne una merce o una proprietà, con esiti spesso allarmanti di cui purtroppo la cronaca di questi giorni è piena. Ma forse la seconda posizione è quella che mi lascia più perplessa, quella di chi riconosce l'esistenza del problema ma la liquida con un "roba da donne" come a dire "la cosa non mi riguarda, non sono fatti miei".

IL PROBLEMA RIGUARDA TUTTI

La "questione femminile" è invece una questione di tutti. Chi di noi non ha un'amica o moglie che ha dovuto lasciare il lavoro perché era incinta o dopo la nascita del figlio con conseguenze talvolta drammatiche per l'intero nucleo familiare? Chi non ha una figlia o una nipote che fa fatica a trovare un lavoro perché "si, sei brava ma non posso rischiare che domani mi resti incinta e te ne stai a casa"? Chi non conosce donne che si sono viste limitare la propria crescita professionale perché le hanno reso impossibile conciliarla con la vita privata? Qualcuna di noi l'ha provata sulla sua stessa pelle. Ma la questione ci riguarda tutti anche se non abbiamo amici o parenti che queste situazioni le hanno vissute in prima persona. Ci riguarda perché ogni talento femminile sprecato è una risorsa in meno, anche sul lavoro.

Preferiamo avere un collega/capo uomo incapace o una collega/capa donna in gamba? Sembra una domanda stupida, banale e dalla risposta ovvia. Ma provate a rispondere. Vi assicuro che ne sareste sorpresi. E soprattutto vi sorprenderà sapere quanto le aziende rispondano in modo tanto inaspettato ad una domanda dalla risposta apparentemente così scontata. Nel 2000 la rivista "American Economic Review" ha pubblicato una ricerca condotta da Goldin e Rouse, due docenti universitari americani. Fra il 1970 e il 1996 le due professoresse hanno raccolto i dati relativi alla selezione di 14mila orchestrali delle maggiori orchestre sinfoniche americane. Analizzando questi dati è emerso che effettuando la selezione schermata (“blind” ossia alla cieca) la probabilità di essere scelte per le donne aumenta del 50% (dal 19 al 28%). A onor di cronaca per gli uomini passava dal 22 al 20% circa. Quindi le donne non venivano scelte non perché meno brave, ma semplicemente perché donne. Cosa c'entra l'appartenenza di genere con la bravura nel suonare uno strumento? Mi viene da dire "assolutamente nulla". Eppure coloro che sceglievano gli orchestrali erano profondamente condizionati dal genere del candidato.

OCCORRE PIU' CONSAPEVOLEZZA

E questa cosa accade anche nelle aziende, nei luoghi di lavoro e nelle organizzazioni in genere. Immaginiamo, adesso, di riproporre la stessa questione per la scelta di una carica importante come quella di dirigente d'azienda o, meglio ancora, di capo di stato. Cosa c'entra l'appartenenza di genere con il sapere gestire bene un'azienda o la cosa pubblica? E quindi è preferibile un premier donna in gamba o un premier uomo inetto? Immagino o forse spero che tutti vorremmo un premier capace e basta, indipendentemente dal genere. Quindi se le donne talentuose non arrivano a ricoprire ruoli che meriterebbero non è solo un problema della singola donna, non è nemmeno un problema delle donne in genere. Questa sarebbe comunque un'ingiustizia. Ma il problema è di portata più ampia perché riguarda la società nel suo complesso. Analogamente è un problema delle aziende e di noi che ci lavoriamo se le donne di valore non vengono messe nelle stesse condizioni degli uomini per arrivare a ricoprire i ruoli che meriterebbero. Ma le organizzazioni sembrano non occuparsi del mancato guadagno che deriva da tale spreco. Il più delle volte della questione di genere ci si occupa solo per immagine, per fregiarsi del "bollino rosa" con il risultato di incrementare il numero di yes-women invece che quello di donne di talento. E così il numero aumenta di sicuro ma non c'è comunque da esserne soddisfatti. Di questo devono essere pienamente consapevoli le donne che spesso hanno un atteggiamento rinunciatario auto-svalutandosi ma è necessario che lo tengano ben a mente anche gli uomini che spesso liquidano la questione voltandosi dall'altra parte permettendo in questo modo che perdurino situazioni di disparità che poi, come si è visto, portano svantaggi generalizzati. La questione femminile non è una questione di femmine, è una questione di tutti.

Maddalena Acquaviti, RSA FinecoBank, gruppo Unicredit

16/07/2012
Maddalena Acquaviti, RSA FinecoBank, gruppo Unicredit - info@jobedi.it