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MUSICA
MAX PEZZALI RIEDITA IL SUO DEBUTTO

L'uomo ragno? È morto con l'innocenza

A 20 anni dalla storica uscita, il cantante di Pavia dice: erano giorni difficili, ma con più ottimismo. "C’era speranza nel futuro, sembrava che quell’estate, come raccontava anche Jovanotti, fosse l’estate della speranza..."

Trovarsi di fronte Max Pezzali è un po’ come dialogare con 20 anni di storia dei giovani italiani. Perché se c’è uno che ha sempre intercettato i bisogni e i sogni delle generazioni “young” è proprio la metà degli 883. Quelli che furono lanciati dallo straordinario talent scout che è stato Claudio Cecchetto nel 1992 con un disco disarmante e memorabile come Hanno Ucciso L’Uomo Ragno. Che oggi ritorna nei negozi con delle aggiunte figlie dell’attualizzazione degli anni 2000.

Max, cosa ti ha spinto a rimettere mano al tuo disco d’esordio?

Mi sono lasciato entusiasmare da tanti artisti rap che nei backstage degli spettacoli mi fermavano e mi dichiaravano la loro passione sviscerata per quei primi pezzi. Io a stento ci credevo: che c’entravano gli 883 con i rapper italiani di ultima generazione? Poi mi sono accorto che quello che fanno loro oggi è lo stesso discorso che facevamo noi negli anni 90: parlare ai giovani della monotonia delle loro vite.

Non erano anni spensierati quelli?

Sì, in un certo senso c’era una situazione peggiore di adesso, ma la vivevamo tutti con maggiore coraggio. C’era speranza nel futuro, sembrava che quell’estate del 92, come raccontava anche Jovanotti in una canzone, fosse l’estate della speranza, del crollo delle frontiere. L’Europa era vista come una cosa positiva, con una fame di conoscenza da parte dei ragazzi. Guardiamo a cosa è successo oggi e come viene vista l’Europa adesso, possiamo tutti trarre le conclusioni.

Era anche l’anno delle stragi di mafia e di Tangentopoli…

Ci ho pensato. E che reazione a queste due cose ci fu. Una sensazione mai provata prima, era come se l’Italia fosse per la prima volta unita contro questi due mali, nemmeno la vittoria al mondiale del 1982 ci aveva uniti tanto. E il nostro disco non c’entrava proprio niente con tutto questo. Canzoni come Hanno Ucciso L’Uomo Ragno parlavano di come il pragmatismo degli adulti stava spezzando i sogni infantili dei ragazzini. Era quella la visione che avevamo. Poi raccontavamo di come si viveva in provincia, nei bar, i sogni con le ragazze, le moto, le passioni semplici. Al primo posto sempre i rapporti tra maschi e femmine. E poi mi sono reso conto che era quella la forza di quelle canzoni: aver avuto il coraggio di rappresentare la realtà degli adolescenti per quella che era, senza pretendere di fare i cantautori impegnati o votati all’amore.

Hai ripreso quei testi in mano oggi. Come ti sembrano?

Divertenti e spensierati. Non c’è disimpegno totale perché con l’aiuto dei rapper che ci hanno lavorato sono stati aggiunti dei pezzi di cantato molto attuali, con delle tematiche che sono riconducibili a quello che viviamo oggi. Ci sono i Club Dogo, Emis Killa, Baby K, tutti personaggi che ai ragazzini piacciono molto e che hanno ridato nuova vita ai testi del 1992.

Cosa ti aspetti da questa riedizione?

La figlia della mia compagna che ha 15 anni mi ha rivalutato, perché i suoi idoli duettano con me. Quindi loro mi fanno da garanti per le nuove generazioni e questo è un bene. A ottobre ripartirò a fare concerti ma non voglio fare un tour solo con questo disco “rivitalizzato”. Sto studiando un modo per portare dal vivo questo progetto assieme a tutto il mio repertorio.

E della reunion con l’altro 883, Mauro Repetto, cosa puoi anticipare?

Non ci vedevamo dal 1998. Ora siamo ritornati a frequentarci e ci scambiamo idee e fantastichiamo su progetti. Lui però ora è un lavoratore dipendente e non può prendere impegni. Certamente mi piacerebbe fare qualcosa di unico con lui. È un grande talento e il pubblico non lo ha compreso. Veniva visto come l’elemento di contorno. Invece ha saputo mollare la fama all’apice e si è ricostruito un’esistenza alternativa a Parigi.

Lo hai mai invidiato per questo?

Non direi. Sono molto legato al mio mestiere e non ho mai pensato di fermarmi. Certamente ci sono stati dei momenti in cui ho pensato a come sarebbe stato allontanarmi dai riflettori come ha fatto lui. Quando i critici mi stavano addosso e mi rimproveravano di non voler maturare me la prendevo. Ma io non ce l’ho fatta a rinunciare alla musica, alla musica che mi piace fare.

08/06/2012
Christian D Antonio - c.dantonio@jobedi.it