.
Parla la psicologa Federica Piacenza, responsabile dello Sportello Disagio lavorativo e mobbing per persone con disabilità della Cisl di Milano.
Il 10 ottobre 1992 è stata istituita la giornata Mondiale della salute mentale. Sono passati trent’anni, nel frattempo il mondo è cambiato e con esso la società. Abbiamo attraversato una pandemia, stiamo assistendo a cambiamenti radicali negli stili di vita, ma di questo tema si parla ancora troppo poco.
La psicologa Federica Piacenza è responsabile dello Sportello Disagio lavorativo e mobbing per persone con disabilità della Cisl di Milano.
Dottoressa Piacenza, cosa si intende quando si parla di salute mentale?
Uno stato di benessere complessivo, a livello bio-psico-sociale, non la sola assenza di malattia. A sua volta, il disagio psicologico non può essere definito in maniera riduzionistica come caratterizzato dalla sola presenza di diagnosi di disturbi mentali. Il funzionamento psicologico tocca infatti la dimensione relazionale, emotiva, comportamentale, somatica e cognitiva dell’individuo, impattando in modi diversi da persona a persona e presentandosi in una forma sempre unica anche nello stesso soggetto, che in differenti periodi della vita può trovarsi ad attraversare crisi, blocchi evolutivi o difficoltà dettate dal contesto di appartenenza.
Cosa bisogna fare per affrontare il problema?
L’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è quello di incrementare la consapevolezza e l’impegno in tema di salute mentale sia a livello politico che nella società. La salute mentale à una componente essenziale della capacità di resilienza delle comunità, ed è quindi fondamentale attuare politiche nazionali e territoriali che promuovano sistemi di salute mentale inclusivi, efficaci e a tutela dei diritti di tutti.
La pandemia non ha certo aiutato…
La crisi sanitaria ha messo a dura prova i servizi sul territorio, già deboli a livello strutturale, rendendo impossibile per molti ricevere le cure adeguate. Nei Paesi europei legati all’OMS, i disturbi mentali sono la principale causa di disabilità e la terza causa del carico complessivo di malattia, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. I disturbi mentali rendono difficoltosa la permanenza sul luogo di lavoro, impattando non solo sull’identità lavorativa della persona, ma anche sulla sfera familiare e sociale.
Che relazione c’è con il mondo del lavoro?
Anche il luogo di lavoro è un fattore di rischio per lo sviluppo di sofferenze psicologiche. Una analisi del Parlamento europeo dello scorso giugno ha confermato l’importante mutamento delle condizioni lavorative avvenuto negli ultimi due anni. Le variabili psicosociali riscontrate come più rischiose riguardano le modalità organizzative del lavoro (orari, carico richiesto, telelavoro), il benessere relazionale vissuto nell’ambiente lavorativo ma anche la presenza di richieste contrastanti, la mancanza di chiarezza sul proprio ruolo o il mancato coinvolgimento nelle decisioni che riguardano i lavoratori stessi. E ancora cambiamenti organizzativi mal gestiti, la precarietà del lavoro, una comunicazione inefficace, la mancanza di supporto da parte dei dirigenti o dei colleghi, molestie psicologiche e sessuali e violenza da parte di terzi.
In che modo si manifestano queste sofferenze?
Gli esiti connessi a questi fattori di rischio possono impattare gravemente sulla salute della popolazione, comportando sviluppo di disturbi ansiosi, depressivi, psicosomatici e bornout. Lo standard di vita, le condizioni lavorative e il supporto sociale offerto dalla comunità diventano quindi fattori determinanti a livello protettivo, rendendo evidente l’importanza della prevenzione e della promozione della salute mentale anche nei luoghi di lavoro.
Contatti:
mail: info.disagiolavoro@cisl.it
Aperture sportello: martedì e venerdì, dalle 9 alle 18.