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Bove, Cisl: “Più colpiti i settori in cui lavorano gli stranieri”. Interviste nelle province di Milano, Bergamo, Brescia e Cremona.
Quanti immigrati si sono ammalati di Covid-19 durante il primo lockdown (marzo-maggio 2020)? E qual è stato in quel periodo l’impatto della pandemia sulla situazione lavorativa degli stranieri? A queste domande risponde un’indagine realizzata da Ismu (Inizitive e Studi sulla Multiculturalità). nelle province di Milano, Bergamo, Brescia e Cremona.
“La pandemia – osserva Maurizio Bove, responsabile Dipartimento Immigrazione Cisl Milano Metropoli - si è rivelata come un potente evidenziatore delle carenze strutturali del nostro Paese anche per quanto riguarda le politiche per l'integrazione dei cittadini stranieri. Innanzitutto i dati diffusi da ISMU dimostrano chiaramente come persista una forte segmentazione nel mercato del lavoro, con l'aggravante che i settori colpiti in maniera più drammatica dalle restrizioni imposte dalle misure di contenimento del contagio sono proprio quelli in cui sono relegati i lavoratori e le lavoratrici provenienti da altri Paesi, che in questo periodo hanno visto peggiorare ulteriormente le proprie condizioni. Temiamo però che da questa fotografia rimangano ancora una volta esclusi gli ultimi, tutte quelle persone senza un permesso di soggiorno che non solo hanno perso il lavoro, senza la possibilità di fruire degli ammortizzatori sociali previsti dai vari Decreti, ma che a causa della propria condizione di irregolarità, alla quale l'ultima sanatoria non è riuscita a dare risposta, sono addirittura risultati invisibili al servizio sanitario ed esclusi, quindi, dal diritto alla salute in un momento particolarmente grave come quello che stiamo vivendo”.
Di seguito nel dettaglio i principali risultati dell’indagine
Il contagio da Covid-19 durante la prima ondata (marzo-maggio 2020)
Il contagio ha riguardato il 4,6% degli immigrati coinvolti nell’indagine, mentre quelli che, pur con sintomi, non hanno avuto modo di testare la presenza del virus, ma rispondono di averlo probabilmente avuto, rappresentano un ulteriore 7%. In ogni modo prevale la quota di coloro che hanno dichiarato di non sapere se hanno o meno avuto il Covid, non avendo avuto sintomi, né possibilità di fare il tampone (64%). Un quarto del campione ha riferito invece di non aver contratto il virus, poiché è stato sottoposto a tampone con esito negativo.
Le categorie di lavoratori che hanno contratto maggiormente il virus sono state quelle dei socio-sanitari (11,1% con tampone positivo), degli impiegati (7,2%) e degli addetti alle vendite (6,6%). Anche se la stragrande maggioranza degli stranieri che hanno partecipato all'indagine non ha avuto necessità di assistenza, il 17% ha chiesto informazioni e aiuto al proprio medico di famiglia, mentre l’8% si è rivolto al numero di telefono istituzionale dedicato. Per quanto riguarda l’accesso all’informazione: il 78% del campione ha consultato tv, giornali, radio e siti internet italiani e il 60% mezzi di informazione stranieri. Ampio anche l’utilizzo dei social media (70% di risposte positive) e lo scambio più informale di conoscenze tra familiari e amici (54%).
Il report completo di dati e tabelle è disponibile qui
Il lavoro durante il periodo del primo lockdown
Tra i lavoratori migranti attivi (pari all’82% dei 1.415 cittadini coinvolti nell'indagine), il 26,6% ha visto sospendere completamente le proprie attività professionali e un ulteriore 7,5% le ha dovute invece ridurre. Le categorie maggiormente penalizzate dal blocco sono state quelle connesse agli esercizi commerciali (addetti alle vendite e ai servizi), che, nella maggioranza assoluta dei casi (53%), hanno dovuto completamente sospendere l’attività, seguiti dagli addetti alla ristorazione/alberghi (49%) e dai lavoratori del settore artigiano (34%).
L’impatto sul reddito è stato rilevante: il 51,3% ha dichiarato che il livello mensile è stato inferiore rispetto al periodo precedente alla pandemia (per il 44% invece è rimasto invariato). Gli addetti alle vendite e servizi e gli addetti alla ristorazione/alberghi sono tra le categorie più colpite: rispettivamente il 71% e il 61% ha dichiarato di avere un reddito più basso rispetto al periodo prepandemia.
La cassa integrazione è stata utilizzata in un caso su quattro e in particolare da chi lavorava nel settore ristorazione e alberghi (37%), dai lavoratori – più spesso lavoratrici – dei servizi alle famiglie (32%) e dagli addetti alle pulizie (30%). Il bonus per i lavoratori autonomi ha aiutato complessivamente l’8% del campione. Un immigrato su tre dell’intero campione (compresi i non attivi sul lavoro) ha chiesto aiuto a enti di volontariato e altri soggetti esterni alla famiglia.
La pandemia ha rallentato anche il flusso delle rimesse all’estero: il 15% del campione ha infatti dichiarato di aver ridotto o interrotto l’invio di denaro a familiari nel paese di origine.