.
I dati nel primo anno di pandemia. Aumentano i licenziamenti per giusta causa. Il terziario è il settore più colpito. Penalizzate le donne.
Sono 4.543 i lavoratori seguiti dagli Uffici vertenze della Cisl nel 2020, primo anno di pandemia Covid. A loro se ne aggiungono altri 2.199, assistiti a seguito di fallimenti aziendali.
Nonostante il blocco dei licenziamenti molte aziende hanno comunque trovato il modo di chiudere i contratti di lavoro.
“Vi è stato un aumento considerevole dei licenziamenti per giusta causa - spiega Antonio Mastroberti, coordinatore degli Uffici Vertenze Cisl in Lombardia -. Spesso, infatti, i datori di lavoro, non potendo licenziare per motivi economici, si sono inventati una giusta causa per risolvere il rapporto di lavoro. In qualche altro caso, soprattutto le donne, sono state licenziate perché impossibilitate a conciliare problematiche familiari legate alla pandemia con il lavoro”.
Nel 2020, nonostante il blocco, le opposizioni al licenziamento sono state ben 623, il 13,7% delle vertenze totali. Nel 2019 erano state 929 su 5.974 vertenze (pari al 15,5%).
“In generale in quest’anno di pandemia - sottolinea Mastroberti - abbiamo registrato che stanno ritornando modalità di lavoro che ritenevamo superate dalla storia: si sta scaricando sempre di più il rischio d’impresa sui lavoratori senza che gli stessi ne traggano alcun beneficio; sempre più spesso il lavoro è legato al raggiungimento di obiettivi, ma senza che ci siano più le garanzie minime previste da un rapporto di lavoro subordinato; si assiste sempre più spesso ad una deriva contrattuale; le aziende applicano i contratti meno onerosi, sottoscritti da organizzazioni sindacali di comodo”.
Quanto alla tipologia di vertenze, la parte da leone l’ha giocata il recupero crediti (59%): retribuzioni inferiori a quanto effettivamente dovuto, liquidazioni non corrisposte quando si lascia l’azienda, straordinari non pagati ma dovuti. Seguono le conciliazioni (12%), il controllo buste paga (6,2%), i contratti irregolari (3%).
Il settore che registra il contenzioso più alto, con 2.075 lavoratori (46% del totale), si conferma quello dei servizi e del terziario.
“La conflittualità in questi settori è dovuta alla tipologia di aziende, medio-piccole, ed all’esigenza di conciliare flessibilità e costo del lavoro - spiega Mastroberti -. Nell’ultimo anno il commercio online ha fortemente messo in discussione il commercio tradizionale e i lavoratori ne hanno pagato il prezzo”.
Gli altri settori interessati dalle vertenze sono il metalmeccanico (19%), edile (10%), tessili (8%), trasporti (8%), alimentaristi (4%).