TITOLI DI STUDIO E LAVORO
Diplomarsi è bene, laurearsi (forse) è meglio

Che rapporto c'è tra titolo di studio e mercato del lavoro? Meglio il diploma o la laurea? Quali sono le facoltà che garantiscono maggiori sbocchi occupazionali? Orientarsi nella scelta del corso di studi non è facile.

Una situazione di precarietà che obbliga il laureato a un incessante “peregrinare” nel mercato dei lavoro. L’ Osservatorio della Sapienza, diretto da Mario Morcellini e Barbara Mazza - dal 1997 monitora costantemente le prospettive di lavoro dei laureati in Comunicazione. Specie nell’ultimo anno si registra un calo di opportunità, e la qualità del lavoro viene messa a dura prova dalle difficoltà crescenti in cui verte il mercato stesso del lavoro. Basti pensare che le attività lavorative svolte sono, in un caso su due, atipiche o comunque all’insegna di contratti non standard, spesso di durata non superiore all’anno. La crisi del lavoro è oggi fra i più gravi problemi che colpiscono il Paese. La difficile situazione occupazionale italiana è fotografata con nitidezza dai centri di ricerca nazionali Istat, Censis, AlmaLaurea e confermata dalle indagini Oecd e Eurostat. Disoccupazione e precarietà del lavoro interessano soprattutto le giovani generazioni. Nonostante tutto, il titolo di studio continua a fare la differenza rispetto all’opportunità di trovare un’occupazione e conseguentemente un’adeguata retribuzione, per le capacità e gli strumenti culturali e professionali di cui dispongono i laureati. Secondo l’Istat, i laureati in età attiva (25-64 anni) presentano infatti un tasso di occupazione superiore di oltre 11 punti percentuali rispetto ai diplomati (77% vs 66%). Anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori, risultando più elevata del 55% - nonostante l’eterogeneità riscontrabile fra le diverse classi di laurea - fra i laureati rispetto a quella percepita dai diplomati.

«Eppure l’università e il valore della laurea subiscono sempre più frequentemente attacchi, talvolta anche dalle stesse istituzioni» sostiene il prof. Mario Morcellini. Invece «Da una lettura più analitica dei dati emerge una tenuta rispetto alle chance occupazionali dei laureati in Scienze della comunicazione, lievemente superiore (+1.2%) rispetto all’area politico-sociale nella quale si inscrive». Secondo l’ultima indagine Almalaurea, poco più della metà dei dottori è occupato a un anno dalla laurea (nel dettaglio, il 50% dei laureati di primo livello e il 52,1% dei dottori di secondo livello). Secondo Morcellini «Risulta utile un confronto con la situazione dei laureati in Ingegneria, da sempre ai vertici delle classifiche di coloro che hanno maggiori possibilità di inserimento professionale. Dalla banca dati di AlmaLaurea risulta come tra i due ordini di Facoltà non vi siano differenze sostanziali in termini di inserimento lavorativo, sebbene le peculiarità dei mercati occupazionali di riferimento mettano in risalto maggiori difficoltà per i professionisti della comunicazione, impegnati a fronteggiare un territorio che appare di sicuro più 11% in più sono i laureati occupati rispetto ai diplomati il 66% dei diplomati (25/64 anni) è occupato il 77% dei laureati (25/64 anni) è occupato instabile, ma anche molto più diversificato e dinamico.

A un anno dalla laurea, il 46,2% dei dottori in Ingegneria svolge un’attività, che riesce a trovare dopo circa 3,4 mesi dal conseguimento del titolo. Potrebbe sembrare incredibile a dirsi, ma si tratta di quasi 10 punti percentuali in meno dei colleghi di comunicazione» aggiunge il professore. «Di contro, i tempi di attesa sono però più lunghi per i colleghi licenziati dalle Facoltà di comunicazione, passando da 3,4 a 4,5 mesi. Ecco emergere le prime differenze tra i due ordinamenti. Il percorso formativo e lavorativo nel comparto ingegneristico appare più lineare: il 63,5% inizia a lavorare solo dopo la laurea (contro il 21,3 di comunicazione) e, nella maggior parte, accede in maniera più diretta all’impiego, tanto che appena il 24% ha avuto altre esperienze di lavoro precedenti. Per i laureati in comunicazione? L’iter è più diversificato, sebbene garantisca un risultato altrettanto confortante, tanto che il 41,6% continua a svolgere l’attività avviata nel periodo della frequenza universitaria. I dati rivelano dunque una situazione diversa dagli slogan con i quali sono etichettati i corsi in Comunicazione e i loro laureati, e mostrano che sempre più spesso siamo di fronte a un vero e proprio spettacolo di disinformazione».

06/06/2012
Benedetta Cosmi - b.cosmi@jobedi.it
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