SANITA'
Ospedali nel caos, intervenga il Prefetto

Da Niguarda al San Carlo, dal Fatebenefratelli al San Paolo. La programmazione dei turni del personale sanitario è in tilt. Ongaro (Fp-Cisl) "Non si può più andare vanti così. La situazione sta generando di giorno in giorno. Si prenda atto che così la riforma di Maroni non funziona".

“Non è più possibile andare avanti così. La programmazione dei turni di servizi negli ospedali milanesi viene stabilita di settimana in settimana. Il personale sanitario non c’è la fa più. La situazione è ormai degenerata”. A tratteggiare questa situazione a tinte fosche è Mauro Ongaro, segretario generale della FP (Funzione Pubblica) Cisl Milano Metropoli (nella foto) . “Il prossimo 9 di maggio saremo dal Prefetto  per chiedere un suo pronto intervento. Ormai, la questione va ben oltre i rapporti di natura istituzionale con Regione Lombardia”. Già, perché secondo Ongaro, la fase di transizione in cui la Sanità lombarda è precipitata ha ulteriormente acuito un contesto che era già di forte criticità. “E’ il modello di governance che non funziona – spiega il dirigente cislino – oggi assistiamo all’accorpamento di diversi ospedali ma si va avanti a ragionare ancora come prima per compartimenti stagni. Adesso la Regione ha nominato un nuovo direttore generale  alla Sanità (Giovanni Daverio ndr, un fedelissimo di Roberto Maroni ndr) speriamo che presto nomini anche un Assessore al Welfare”.

Lo scenario è davvero complesso e secondo la ricostruzione di Ongaro andrebbe oltre il Niguarda. “Il problema della situazione del personale, del turn over e, di un precariato ormai diffuso, è quella che ritroviamo anche al San Carlo e al San Paolo, così come al Fatebenefratelli. Inizieremo la nostra protesta da Niguarda, in quanto, questo è un ospedale simbolo per Milano, ma la estenderemo a tutte le altre strutture”. Quello dei concorsi è un altro argomento che non può essere sottaciuto: “Non si attivano da tempo più selezioni per OSS (operatori socio sanitari), si va avanti senza una benché minima stabilizzazione. Non è più possibile”. Di fatto, secondo il Segretario generale della FP Cisl Milano Metropoli, l’unico cambiamento percepito riguarda la fusione di vecchie realtà ospedaliere autonome – vedi il San Carlo con il San Paolo per esempio – ma con il modello organizzativo vecchio ancora in vigore. L’altro campanello d’allarme riguarda i tempi d’attesa che si stanno dilatando in modo preoccupante. “Nei Pronto Soccorso del capoluogo milanese alle volte tocca attendere anche sei o sette ore – denuncia Ongaro – e per casi dove comunque sarebbe opportuno un intervento decisamente più sollecito”. A complicare le cose – anche se qui si tratta semplicemente di fare rispettare le norme – è la recente sentenza della Corte Europea sull’orario di lavoro del personale medico che impone precisi stacchi. “La conseguenza di  tutto questo – conclude Ongaro – è che alla fine ad andarci di mezzo è il paziente. Perché molti dipendenti ormai stremati e stanchi di fare i salti mortali per assecondare le esigenze organizzative della propria azienda, alla fine, si mettono in malattia…”.

La coperta corta…

Come si fa a garantire ancora una sanità di qualità a fronte dei continui tagli? Perché se ci sono delle colpe nel modello organizzativo degli ospedali lombardi, tuttavia, è altrettanto vero che la congiuntura attuale non è delle migliori.  Da Roma quest’anno arriveranno 320 milioni di euro in meno del previsto sui 17,5 miliardi complessivi. Senza dimenticare l’aumento dei costi – vedi per esempio per l’acquisto di farmaci carissimi come quello contro l’epatite C – 240 milioni di euro preventivati e con una popolazione anziana in costante aumento. Quindi, la legge di stabilità che impone agli ospedali con i conti in rosso l’attuazione di un piano di rientro. Al momento, le situazioni che risultano a rischio in Lombardia sono il Niguarda, il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Melegnano, San Carlo, San Paolo, Fatebenefratelli, Garbagnate Milanese, Como, Lodi e Sondrio. Il provvedimento approvato a fine anno dal governo Renzi, d’altronde, parla chiaro: entro lo scorso 31 marzo le Regioni dovevano individuare le aziende ospedaliere, i poli universitari, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) e gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura che presentavano uno scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10% delle entrate, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro. Per chi si trova nell’elenco deve scattare il piano di rientro. In poche parole: tagli, pesantissimi tagli.

04/05/2016
Fabrizio Valenti
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