LAVORO
Tutti pazzi per lo smart working ma....

Nelle grandi aziende multinazionali è già una realtà. Un po' meno nelle piccole e medie imprese. La legge in discussione al Parlamento dovrebbe portare ordine nel settore. Anche perchè alcuni problemi da risolvere ci sono.

MILANO –  ‘ Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione  alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi e degli orari di lavoro, e degli strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati’. Se tutti concordano sulla definizione del lavoro agile, passi debbono essere ancora compiuti per la sua totale realizzazione.

Il problema – secondo quanto emerso nel convegno organizzato a Palazzo Reale a Milano in occasione della Giornata del Lavoro Agile 2016 – spesso è legato ai cosiddetti ‘quadri’ (…o travet in milanese). Non sono tanto i supermanager, infatti, a non voler cambiare. Ma soprattutto chi è abituato “a controllare a vista” i propri collaboratori ed è convinto che far tardi in ufficio sia una nota di merito sempre e comunque. L’altro ostacolo da superare è la dimensione aziendale. Perché nei grandi gruppi – vedi Banca Intesa San Paolo, Nestlè o, ancora la Sanofi in campo chimico farmaceutico – il lavoro agile è già una prassi per oltre il 48% dei dipendenti con picchi in alcuni casi che superano il 60% e con l’obiettivo (fatte salve delle limitazioni strutturali dovute alle mansioni delle persone) anche del 100%. Ma quando si va a vedere realtà produttive con meno di 250 dipendenti, beh lì si apre tutta un’altra storia che è ben diversa.

Le Istituzioni ci sono e stanno già sperimentando sul campo…

Ma ‘lavoro agile’ non può e non deve essere sinonimo solo di privato. Lo hanno ripetuto sia l’assessore al Benessere, Qualità della Vita, Sport e Tempo libero del Comune di Milano Chiara Bisconti , sia la collega di Giunta Cristina Tajani che ha la delega per le Politiche del lavoro, lo sviluppo economico e l’Università: “Il Comune di Milano, non a caso – ha spiegato la Tajani – che è la più grande azienda milanese, ha già applicato questa opzione”. Lavorare agilmente, per lavorare in modo più proficuo ma anche come un approccio diverso alla città. Così da avere una città più vivibile sotto il profilo ambientale.

Contrattazione o accordi singoli?

Il nodo normativo attorno al cosiddetto DL Sacconi e, più in generale, rispetto al provvedimento d’iniziativa parlamentare oggi in discussione a Roma, sta tutto qui.  Se è pur vero, infatti, che lo smart working come strumento flessibile è costruito spesso sulle esigenze del lavoratore, non può essere generalizzato, è altrettanto vero che un inquadramento dentro ad un paradigma normativo più ampio, appare necessario. E’ la tesi che sostiene Gian Paolo Valcavi, avvocato giuslavorista esperto della materia . “In questo disegno di legge non c’è alcun coordinamento tra  questioni più generali in materia di sicurezza sul lavoro, obbligo di cooperazione, anche rispetto ai luoghi dove svolgere l'attività fuori dall'ufficio. Inoltre, non c'è una disciplina che autorizzi i controlli e spieghi soprattutto come condurli. Dove può arrivare inoltre l’azienda e dove inizia il diritto alla riservatezza del lavoratore rispetto agli strumenti utilizzati per essere ‘connessi’? Chiaro dunque – è la chiosa tranchant del giuslavorista – che questa legge non potrà essere una panacea, quello che funzionerà invece saranno gli accordi tra azienda e sindacati che oggi mancano”. Di parere totalmente opposto Andrea Orlandini presidente dell’Associazione Italiana per la direzione del personale AIDP . Per questi “il lavoro agile è sinonimo di democrazia ma, più ancora, essendo impostato su forme di volontarietà, per definizione non può essere mai discriminatorio”. Come dire che, in altre parole, il ruolo del sindacato appare secondario.

Una posizione questa che, però cozza vistosamente, sia con il pensiero dei rappresentanti sindacali di alcuni gruppi aziendali poco sopra citati (Banca Intesa San Paolo, Nestlè e Sanofi Aventis) ma, un po’ a sorpresa, con gli stessi responsabili delle relazioni industriali. Perché se, secondo  buon senso, Alessandro Macchi (rappresentante sindacale Nestlè) obietta “ che la contrattazione individuale è rischiosa perché non siamo sullo stesso livello” , appare per certi versi più sorprendente il commento di Laura Bruno Hr di Sanofi: “Da noi siamo partiti con dei ‘progetti pilota’ con il coinvolgimento delle parti sociali in un accordo base. Come garanzia di equità – ha aggiunto – ci siamo dati dei criteri fissi come il tetto del 20% minimo, che abbiamo velocemente alzato dato che oggi siamo al 43% dei lavoratori in sede che fa lo smart working”.

Un cambiamento anche organizzativo e strutturale…

E’ quello invocato dalle parti sociali. Giuseppe Oliva, segretario della Cisl Milano Metropoli, nel suo intervento ha messo in evidenza proprio questo aspetto. “Senza tecnologia, senza adeguate forme d’investimento per quanto riguarda le infrastrutture (banda larga, ect.) il lavoro agile rischia di rimanere ancora una realtà per pochi intimi. Ma su questa partita pubblico e privato devono andare avanti di pari passo”.

L’Osservatorio Smart Working del POLIMI

Il Lavoro Agile è diventato a tutti gli effetti un fenomeno da studiare , così da comprenderne le tendenze e lo sviluppo. Tanto che è dal 20012 che all’interno del Politecnico di Milano si è costituito l’Osservatorio sullo Smart Working. Un “ osservatorio privilegiato ” a tutti gli effetti, ma anche un strumento a supporto di aziende e pubbliche amministrazioni,  per creare maggiore cultura, consapevolezza e sviluppando le pratiche più virtuose. Per non fare confusione, al di là dei luoghi comuni : perché spesso nel nostro Paese si equivoca e si finisce per parlare di “lavoro agile” e di “telelavoro” come se fossero la stessa cosa. Differenze  ce ne sono anche a livello giuridico, visto che il Telelavoro è regolato da una legge dello Stato del 2004 diversamente dal ‘lavoro agile’. Un altro luogo comune da abbattere è quello che vede il lavoro agile come sinonimo di ‘lavoro comodo’ per chi dovrebbe fare tutti i giorni diversi km per raggiungere il proprio ufficio. Non è così. Secondo la ricerca condotta dall’Osservatorio del PoliMI, infatti – come evidenziato da Emanuele Madini Senior Advisor – nel 33% dei casi i lavoratori hanno bisogno di concentrazione, condizioni che spesso non sussistono in ufficio.

Una società che cambia, una società con nuovi bisogni (anche sul luogo di lavoro) Tiziana Vai, medico del lavoro del Gruppo Donne Salute Sicurezza della Cgil, Cisl e Uil di Milano rimarca soprattutto il cambiamento socio-demografico della nostra realtà. Crolla il mito del cartellino e si passa al concetto di produttività, sorgono nuove esigenze. In un mondo che invecchia, invecchiano anche i lavoratori. Allora lo smart working aiuta anche chi in età avanzata prosegue nella professione. Ma il tema di fondo è l’informazione. Perché nel nostro Paese, al di là della schiera degli ‘addetti ai lavori’ se ne sa ancora poco. O peggio, s’incappa nel confondere il ‘lavoro agile’ con il telelavoro...

Lavoro Agile: le testimonianze di chi ha già vinto

Banca Intesa, Gruppo Nestle, Sanofi. Tre storie d’azienda, tre testimonianze di chi il lavoro agile lo ha già realizzato e con successo. Tre realtà imprenditoriali in cui chi si siede da una parte e dall’altra dell’ideale barricata (management e rappresentanti sindacali) marciano compatti nella stessa direzione. In Nestlè prima del lavoro agile, fu il telelavoro nel 2009 .  Poi, l’anno  successivo con l’istituzione di una commissione sindacale si è sviluppato questo nuovo percorso. Oggi il 35/40% delle persone in Nestlè lavora ‘in agile’ in forma sporadica o sistematica (8 volte al mese, 2 giorni a settimana ndr). Ma la dimensione Nestlé è anche un’altra: lavoro flessibile con le timbrature del cartellino che non fanno fede ai fini del conteggio delle ore settimanali. Una storia più o meno analoga è quella che può raccontare Laura Bruno Hr di Sanofi con un tetto ormai del 43% di “smart worker” e in cui la componente di un Amministratore Delegato di nazionalità svizzera contribuisce a fare la differenza in questo cambio di mentalità. Ma in Sanofi non mancano le sorprese: perché sono più gli uomini a chiedere forme di lavoro agile e, altro dato interessante, pur avendo il 69% dei lavoratori che arriva da fuori Milano, sono i milanesi nel 61% del totale a chiedere questa forma di agility . La nuova frontiera è il 70% degli utenti, con qualcuno  a cui è stato negato – è questa la nota stonata -  non per volontà aziendale, bensì per qualche manager un po’ refrattario e legato a vecchi schemi.

Banca Intesa San Paolo…dove il sindacato è di casa

Una nota a parte la merita la storia del lavoro flessibile in seno al gruppo Banca Intesa San Paolo: una realtà con 65 mila dipendenti sparsi in tutta la penisola e con il 78% di sindacalizzazione . Come dire che qui la contrattazione è un elemento ‘non negoziabile’. E, infatti, come racconta Patrizia Ordasso responsabile delle relazioni industriali, è del 2014 il primo accordo sul lavoro flessibile, sperimentato su un contingente di 1.000 persone. Settecento le adesioni iniziali, quindi, il passaggio al coinvolgimento di 3.000 unità in vista di EXPO con un’adesione del 70% (l’86% da casa, il 12% da hub aziendale e il resto da cliente). Ora il prossimo passo è l’allargamento a tutto il gruppo, compresi i dirigenti. Perché il lavoro agile fa bene anche alla salute…se è vero che in Banca Intesa San Paolo dal momento della sua applicazione le aziende si sono ridotte in generale del 20% e del 10% quelle di un solo giorno.

21/03/2016
Fabrizio Valenti
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