INTEGRAZIONE
Il senso di liberta' nelle donne

Riflessioni e testimonianze sul ruolo femminile nelle diverse culture e la possibilità, nell'era dell'immigrazione e della globalizzazione, di trovare un punto d'incontro.

LIBERTA’ DELLE DONNE E PLURALISMO DELLE CULTURE, UN DIALOGO POSSIBILE? Se lo sono chiesto le donne dei sindacati milanesi al convegno “Il senso della libertà per le donne nelle varie culture” tenuto  all’Ufficio del parlamento Europeo questo 8 marzo 2016. Testimonianze di donne provenienti da varie culture, etnie e religioni si sono messe a confronto sui diversi comportamenti, stili di vita, vincoli alla libertà e percorsi di riscatto  messi in atto  in realtà differenti quali  la Cina, la Siria, il Camerun e il Cile.

“Libertà e pluralismo spesso non vanno di pari passo” ci dice Chiara Martucci , ricercatrice dell’Università Statale che ha introdotto il dibattito. Forme di assoggettamento alle regole della comunità e rinuncia al nuovo divengono  scelte per non isolarsi dalla comunità, soprattutto per i soggetti più deboli come le donne dei paesi extraeuropei. E’ questa anche una delle motivazioni  che porta a sopportare la poligamia, i matrimoni imposti dalla famiglia, fino alle mutilazioni e le violenze dopo il matrimonio. In molte realtà la libertà delle donne è lontana, sottomessa al bisogno di non trasgredire le coercitive regole della comunità, anche se le cose stanno cambiando.

Per Suping Huang, mediatrice culturale cinese ,  le cose sono cambiate in meglio. Oggi le donne cinesi si sentono più protagoniste della vita sociale, professionale e politica. Le migrazioni hanno indubbiamente aiutato il processo, ora le associazioni di donne cinesi  in Italia marciano da sole, non sono più sotto la sola protezione degli uomini, per lo più di quelli potenti e a capo delle altre associazioni commerciali, politiche e finanziarie. La comunità femminile di riferimento, il mettersi assieme a sostenere i diritti ha aiutato a conseguire maggiore autonomia, a  valorizzare le proprie identità di donne immigrate che lavorano, portano i soldi a casa e si rendono sempre più indipendenti.

Souheir  Katkhouda,  italo siriana dal 1976 in Italia, praticante la religione musulmana segnala come l’Islam non contempli differenze tra uomini e donne , considerati “prodotto di Dio a pari titolo” , come lei sostiene. La ricerca delle libertà per uomini e donne dipendono, per lei, da altre motivazioni connesse ai conflitti presenti nei paesi islamici e alla lotta per le povertà e la mancanza di informazioni ed istruzione. Le donne delle seconde generazioni di immigrati qui in Europa che hanno studiato e lavorano  hanno già superato  le vessazioni e i vincoli a cui costringono pratiche religiose, tra l’altro,  non presenti nel Corano. Sono ben integrate sia nella comunità islamica che in quella del paese ospitante.  Lo dimostra anche in Italia il progetto AISHA che vede la collaborazione tra donne musulmane e Imam per difendere le altre donne, informarle sui centri antiviolenza e su come non soccombere alle violenze in famiglia. Saranno queste donne le protagoniste dei nuovi percorsi verso la libertà. Speriamo.

Per Felicitè Ngo-Tonye camerunense, impegnata da tempo a fianco degli immigrati che si rivolgono al sindacato, non esiste un modello unico di libertà. In Camerun  già coesistono diverse culture,  lingue e usanze, credenze capaci di mantenersi anche attraverso quel  fil rouge comune che è l’animismo.  Molte donne islamiche non portano neppure il velo.  Però non esistono ancora pari opportunità nei diritti tra uomini e donne, nonostante leggi e carta costituzionale lo prevedano.  Qualcosa le accomuna all’occidente:  a parità di mansioni gli uomini guadagnano più delle donne.  La cultura patriarcale le costringe ancora alla  poligamia, alla rinuncia  all’istruzione che in Camerun vede privilegiati i maschi visto gli alti costi. Le  figlie sono in molti casi considerate un bene da vendere, magari anche  ad uomini più vecchi.  Quando poi si sposano spesso non  denunciano le violenze sessuali subite dai mariti, per paura di essere rifiutate dalla comunità.  Qualcosa sta cambiando, soprattutto quando queste donne si mettono assieme e fanno massa critica attivando cooperative di mutuo aiuto per ricavare nuovi prodotti dalla terra, commercializzarli o avviare altre attività produttive con i prodotti locali. Con l’istruzione,  il lavoro e la forza del “mettersi assieme” il bisogno di libertà aumenta e pian piano si scoprono anche i percorsi per raggiungerlo.

Proprio questi elementi diventano la forza delle donne verso la ricerca della libertà. Anche se quando raggiungono la libertà poi manca la forza per sostenerla. Ce lo conferma anche Carolina Ochusenius cilena, psicologa che si occupa di servizi sociali e di aiuto per donne immigrate, anche latinoamericane. Queste donne  in Italia sono per lo più il solo sostegno della famiglia sia qui che rispetto a quella che hanno lasciato nel loro paese. Sono loro che lavorano e portano a casa i soldi, ma sono loro che soccombono di fronte alla violenza dei loro mariti.  Libere quando lavorano, ma schiave di fronte alla violenza,  quando  prende loro quel senso di colpa che le fa pensare “forse sono stata io a provocarli con il mio nuovo stile di vita e costumi”.

Da queste testimonianze appare evidente che  la donna immigrata sta su due fronti differenti tra culture e credenze di origine e quelle della società ospitante e la sfida diventa riuscire ad essere se stessa facendo dialogare i due riferimenti rivendicando la propria identità anche di fronte alla comunità etnica a cui appartiene.  La libertà sta proprio nel concedersi il confronto , la relazione col diverso, con l’alterità , è lì che può crescere la libertà delle donne.

La ricerca della libertà per le donne di tutte le culture indubbiamente deve partire da basi solide quali l’accesso al lavoro, all’istruzione, il poter conciliare gli impegni fuori e dentro casa, il contrasto alle violenze e molestie, il superamento dei gap salariali, ma si deve confrontare anche con culture, usanze e pratiche religiose profonde che spesso vincolano le scelte e pongono notevoli ostacoli anche a questi diritti.

Allora è il dialogo, la disponibilità al confronto tra culture e realtà differenti, il riconoscere cosa accomuna nel contrasto, cosa caratterizza l’alterità,  cosa appartiene ad ognuna,  ad ogni donna per  trovare le energie per poter esprimere liberamente se stessa e per poter essere utile alla propria comunità, alla comunità che le ospita ed a quella delle donne con cui condividere la lotta per la tutela ed il conseguimento di questi diritti.

Le sindacaliste presenti hanno poi segnalato il ruolo importante del sindacato in questi processi e la necessità di  creare luoghi e momenti di confronto su questi temi tra donne e uomini di diverse culture e religioni.  Il dialogo e il confronto su questi temi  anche nei luoghi di lavoro e sul territorio può diventare lo stimolo per dare impulso a nuove forme ed energie per rivendicare diritti e avviare nuove forme di aggregazioni sociali per difenderli.  Affrontare questi problemi in solitudine non aiuta. Perché, come ci ha ricordato Gaber, nel video trasmesso alla fine del dibattito, “la libertà non è star sopra un albero.. libertà è partecipazione”.

21/03/2016
Nadia Bertin
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