NOSTRA INCHIESTA
Periferie milanesi alla deriva

Sfratti, occupazioni, degrado, povertà in aumento (degli italiani e degli stranieri). Come mai i quartieri periferici sono così trascurati? Con Pisapia doveva esseri la svolta invece la situazione non è stata mai così pesante da 25 anni a questa parte.

Se non è l’inferno del Romanzo Criminale di Mario Monicelli del 1974, poco ci manca. La Milano dell’Expo, a 40 anni dal capolavoro del neorealismo italiano, si presenta come un covo di degrado e abbandono, con l’aggravante dell’assenza prolungata delle istituzioni nei quartieri periferici, dove aumenta la povertà di italiani e stranieri. E ovviamente c’è il clima di disagio, all’indomani dell’autunno nero delle occupazioni, culminato con gli sgomberi e violenze di prima di Natale scorso.

Cosa è successo nel frattempo? Il Comune è tornato a gestire in proprio le sue 29mila case, ma tante restano sfitte e in abbandono, mentre l’Aler ne ha 43mila in tutta la Provincia. E se i tentativi di occupazione crollano, i 20mila in attesa della casa popolare in città sono sempre lì, a ricordare a tutti che l’emergenza è ormai normalità.

IL VIAGGIO – Le immagini degli sgomberi sono nella memoria collettiva di una città che si appresta a diventare vetrina mondiale nel suo centro ristretto, e periferia impenetrabile e dimenticata nel resto del territorio. Ma la malagestione della questione periferie include anche miopie grossolane. «Prendiamo la località Quinto Romano, corte demaniale del Comune – ci dice Walter Cherubini della Consulta Periferie di Milano, l’associazione che raggruppa commercianti e residenti fuori dal centro – ci si è accorti 3 anni fa che il Comune voleva recuperare degli spazi che risultavano assegnati a un’inquilina morosa da anni. In realtà era morta da 30 anni». E la mappa delle incongruenze continua. Per Cherubini, «l’emergenza è alimentata anche dall’esasperazione di chi vede che in 20 anni le cose sono peggiorate. C’è un aspetto culturale che relega le periferie a

Milano come una non priorità rispetto al centro. Anche a livello amministrativo, la nostra piccola metropoli non è articolata per risolvere i problemi della città. Secondo una legge degli anni 70, doveva esserci un assetto policentrico ma l’amministrazione è centralistica».

Quello che la Consulta grida a gran voce è che la modalità amministrativa della questione a Milano è uguale a quella di un piccolo centro. «Ci dovrebbero essere consigli di zona con più poteri per star dietro alle varie segnalazioni. Il Comune di Milano non fa sistema sul territorio, anche per la  sicurezza non c’è coordinamento con le forze locali, ciascuno opera nell’ambito della propria competenza con regole arretrate». Per dirne una: non si può trattare con i commercianti di via Montenapoleone come con quelli della zona sud perché le esigenze sono diverse.

PROPOSTE – Anche l’alternanza di ceti sociali che vivono nello stesso quartiere è un’esperienza riuscita altrove che si vorrebbe importare a Milano. «Non possiamo accorpare vari disagi nello stesso posto – dice Cherubini – e per questo abbiamo fatto delle proposte. Ci sono 500 appartamenti liberi, piccoli monolocali che non rientrano nelle graduatorie per assegnazione. Potrebbero essere occupati da studenti del conservatorio che ne hanno bisogno, che si impegnano a fare 100 concerti l’anno e così si riqualifica il quartiere».

GIAMBELLINO - Marco Bistolfi responsabile di zona per il Sicet, sindacato degli inquilini, a Giambellino non ci fa un quadro migliore: «Nonostante Expo e la calata di denaro sulla città, è evidente che il degrado delle periferie è ulteriormente marcato. Poco tempo fa in via Lorenteggio 181 è crollato un balcone, lo stabile è stato chiuso e non se ne viene ancora a capo. La situazione dei plessi Aler in via Degli Apuli è gravissima».

Per di più il dramma sociale diventa anche questione di ordine pubblico. Come si fa a tenere calme le acque quando si vedono a pochi metri interi condomini sfitti «compreso uno stabile ristrutturato da 3 anni e non assegnato ancora?». Questo succede perché, secondo il sindacalista, «non c’è una risposta pubblica sull’emergenza e sono aumentate le occupazioni, specie se passano i bisogni elettorali di turno». Ma cosa è davvero peggiorato negli ultimi  decenni? Bistolfi è chiaro: «In generale si è verificata la diminuzione di servizi dovuta ai tagli economici al welfare. C’è poi la carenza di spazi aggregativi, e in aggiunta, in posti come Giambellino, molte saracinesche chiudono e la percezione di insicurezza aumenta».

Ogni passo che si fa qui è un simbolo di una storia di incredibile abbandono. A lato di piazza Frattini, in largo Scalabrini, un altro dramma: «Qui c’è un’anziana con figlio ricoverato in un centro psicosociale, sbattuta fuori da un affitto privato che sta aspettando che gli offrono la casa». Proseguendo, la finestra a cui fino a qualche settimana fa si affacciava la donna rumena con i suoi tre figli. «Sgombero immediato, senza tener conto del marito ammalato in Romania che era all’oscuro di tutto quello che avveniva».

Ma, con 451 negozi chiusi in un anno, a quando la riqualificazione? «Annunciata troppe volte per crederci, evidentemente qualcuno la vuol far peggiorare apposta per dire che sono ghetti. La M4 passerà da Lorenteggio ma l’emergenza è altra. Anni fa si sono spesi soldi per la fontana di piazza Tirana e ora non si trovano risorse per centri di aggregazione. Mi vien da pensare al disastro che ci sarebbe se non ci fossero parrocchie a garantire un minimo di tenuta. Sono uniti nella sfortuna tra italiani e stranieri e le guerre fra poveri sono il pane quotidiano. Cos’è illegale: occupare o tenere 300 alloggi vuoti per anni?».

28/01/2015
Christian D'Antonio - c.dantonio@jobedi.it
Twitter Facebook