INTERVISTA A SERGIO ISRAEL
«Il Naviglio, la mia piccola Senna»

Parla il gestore e fondatore di Le Scimmie, lo storico locale milanese conosciuto in tutta Italia. «Dopo anni di incuria, ritorniamo a valorizzare questa zona».

Per scegliere il nome del suo locale, nel 1980, Sergio Israel si rifece a una massima del filosofo Nietzsche: "Una volta eravate scimmie, e ancor adesso l'uomo è più scimmia di tutte le scimmie" . Bella autoironia introspettiva per lanciare un posto di aggregazione nuovo. «All’inizio era solo jazz, poi ci siamo allargati – ci spiega durante una lunga chiacchierata in un pomeriggio di estiva quiete – e oggi mi sono ricreduto anche sulle tribute band. Il palco de Le Scimmie è anche loro».

Israel, che ha aperto il locale quando negli anni 80 non esisteva la movida sul naviglio Pavese, è sempre stato un promotore della creatività. Voleva dare ribalta a chi componeva le proprie canzoni, non a chi copiava gli altri. Così, su uno dei palchi più longevi della città, arrivarono  anche grandi protagonisti della scena musicale internazionale: Ginger Baker, il mitico batterista dei Cream, Gordon Haskel, voce dei King Crimsom, Tony Scott e Sheila Jordan, entrambi legati alla storia di Billie Holliday, Laurie Anderson e Pat Metheny, Steve Lacy e Bill Frisell e Carla Bley, Han Bennink e Michael Manring, Joe Lovano, Richard Galliano, Katia Mellua e Zaz. Molti artisti italiani hanno scritto un pezzo della loro storia proprio tra le pareti de Le Scimmie: Enzo Iannacci, Enrico Rava e Paolo Fresu, i Bluvertigo, Morgan, Max Gazzè, Tullio De Piscopo, Nando de Luca e molti altri. Sul palco del locale sono nati e diventati famosi Elio e Le Storie Tese, Irene Grandi, Alex Baroni, Gigi Cifarelli, Le Vibrazioni e Malika Ayane.

Ora il locale offre anche ristorazione con sala annessa ed è al centro di una rinascita culturale della zona, “scippata” in termini di popolarità dall’altro naviglio, quello Grande, che pullula di mini bar e aperitivi. Ma la musica è dall’altra parte.

Oltre le note c’è anche un interesse di Le Scimmie per tutto quello che è cultura popolare. Come nasce questo concetto?

Da anni sto cercando di portare ne locale la cultura dell’arte musicale, le contaminazioni se sono interessanti vanno amplificate. Abbiamo avuto don Backy, che è un personaggio importante per Milano, recentemente alla nostra rassegna di libri ha presentato un suo volume e ha suonato.

La mescolanza ti ha sempre interessato?

Sì perché quando avevo lanciato il Crystal a Milano era l’unica gelateria a fare musica classica. Ci deve essere molta informazione e una certa mentalità per fare il mestiere dell’impresario o del gestore di un locale. Sono soddisfatto di come Le Scimmie sia un brand riconsociuto anche oltre Milano. Ma dietro c’è troppa fatica.

Ne vale la pena?

Beh l’anno prossimo di questi tempi spero di essere in pensione. Il bilancio di questo posto, economicamente, mi preoccupa. È perché se si vuole fare una proposta di qualità si rischia molto e non sempre si rientra. Mio figlio, ad esempio, ha voluto ispirarsi a questa avventura per la sua carriera, ma lo fa fuori da qui.

Sai che suonare tra queste mura è il sogno di moltissimi ragazzi che fanno musica in ogni parte d’Italia?

Perché tanti loro idoli ci menzionano. Credo che sia dovuto al fatto che ho sempre guardato oltre il mio orticello, le relazioni sono stati importanti, ho fatto delle scelte in controtendenza. Ho creato un polo culturale, anche con la Nuova Associazione Naviglio Pavese. Vogliamo che questa strada torni a essere epicentro di vita notturna sana, educata, attenta. Dall’altra parte vanno a bere, qui dovrebbero venire per trovare gli artisti, ascoltare, guardare opere. È la mia piccola Senna e non ci rinuncio a questo sogno.

Cosa si dovrebbe fare?

Anzitutto dopo anni di silenzi più o meno gravi da parte della politica cittadina, almeno che ci venissero incontro contro il degrado. E ci battiamo per la pedonalizzazione in modo da rendere più fruibile questo naviglio. In più, sto cercando di fare sinergia con gli altri gestori, perché stare qui non significa solo attirare i ragazzini con i chupito a un euro, che poi rappresentano in estremo, anche un problema di ordine pubblico. Bisogna ripensare la nostra missione e devo dire che stiamo faticosamente uscendo dall’immobilismo.

Si dice anche che per voi gestori dei locali dei Navigli, la chiusura della piazza XIV maggio sia stata una pugnalata…

È l’accesso, ora sbarrato, a questa zona. Non è che non vediamo con favore i lavori per Expo. Ma anche qui è mancato coordinamento, evidentemente perché si è arrivati molto tardi sulla tabella di marcia. Eppure cose simili nelle altre città europee si evitano. Era proprio necessario chiudere tutta la piazza in un sol colpo? Per noi è disastroso.

Quale progetto che hai lanciato ricordi con maggiore orgoglio?

Aver dato spazio ultimamente all’editoria giovane non è da poco. E aver avuto due dei Dik Dik ultimamente è stato bello. Tra le interpreti femminili, ricordo con affetto Malika Ayane e Irene Grandi, che anche quest’anno è tornata a suonare. Per i gruppi, ovviamente il video de Le Vibrazioni nei primi anni 2000 è stato fondamentale. Ma abbiamo anche un buon rapporto con Elio e Le Storie Tese e Frankie Hi Energy che è partito da qui.

Tu rappresenti anche un modello di imprenditoria che molti vorrebbero emulare. Come sei partito?

Sono arrivato da Genova, ho fatto delle esperienza di lavoro in fabbrica, mi sono fatto la necessaria militanza nei movimenti rivoluzionari del Sessantotto. Questa è la mia storia…sai in quegli anni di grande rivolta sono stati allevati tanti grossi talenti. Chi ha fatto poi vela, chi ha fatto politica, che ne so, penso ai Lerner o tipi come me e Sergio Martini che ci siamo dati all’organizzazione culturale. Io ho iniziato col Macondo a Milano, che era un posto ben conosciuto. All’epoca, è vero, regnavano i socialisti, ma giravano anche parecchi soldi. Io comunque sono la dimostrazione che con la cultura, al momento giusto, si può fare imprenditoria.

25/07/2014
Christian D'Antonio - c.dantonio@jobedi.it
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