LAVORO
Franchising: formula anticrisi

I negozi in affiliazione sono in crescita in tutta Italia e occupano oltre 187mila addetti. L'unico settore in difficoltà è quello delle agenzie immobiliari, che soffrono il crollo del mercato della casa.

Una formula anticrisi. Il franchising resiste alla difficile congiuntura economica, favorendo la creazione di nuove imprese e posti di lavoro. Tra il 2008 e il 2012 il giro d’affari è cresciuto del 4,4%, le “insegne” (i marchi) del 14,1%, i punti vendita dell’1,6%, l’occupazione del 4,6% (Rapporto Assofranchising). Il confronto tra 2011 e 2012 disegna uno scenario un po’ diverso (-0,7% sul fatturato e -0,4% sulla forza lavoro), ma a pesare negativamente  è il comparto delle agenzie immobiliari, che paga i problemi del mercato della casa e ha perso 215 milioni di euro di fatturato, 833 “uffici” e quasi 2.500 addetti. Per il resto le note sono sostanzialmente positive. Da Carrefour Express a Carpisa, da Yamamay a Buffetti, da Mondadori a Salmoiraghi & Viganò, da McDonald’s a L’Erbolario, le città italiane sono presidiate da un numero crescente di esercizi che utilizzano  questa formula: un “dare e avere” tra una società proprietaria di un marchio (franchisor), che lo “affitta” (insieme ad una serie di servizi) ad un imprenditore (franchisee) in cambio, in genere, del pagamento di una quota fissa (diritto d’entrata) e di una provvigione variabile.

“Il franchising è un settore anticrisi – osserva Antonio Fossati, responsabile del Salone del Franchising , che si è appena chiuso a Milano -, che pesa per l’1,2% sul Pil, e si sta  internazionalizzando. All’estero sono presenti 212 franchisor italiani, con oltre 7.700 punti vendita. I nostri dati sono in controtendenza con l’andamento economico generale. E anche l’occupazione sta tenendo. Il settore si sta poi aprendo a nuovi contesti. Al Salone, ad esempio, abbiamo dedicato degli spazi al social franchising, al no-profit: servizi agli anziani,  orientamento ai giovani…”.
Ma come si spiega questo successo? Il franchising favorisce la voglia di mettersi in gioco perché al neoimprenditore offre assistenza e servizi (dall’allestimento del punto vendita al marketing, dai prodotti alla formazione) che lo fanno sentire più “protetto”. Non solo, lo sforzo economico iniziale non è “impossibile”: la maggior parte dei franchisor (34,3%) chiede di investire tra i 20 e i 50mila euro.
Il giro d’affari (2012) ammonta ad oltre 23 miliardi di euro. Le insegne sono 938 (+6,8% sul 2011), i punti vendita 52.189 e gli occupati oltre 187mila. In genere ai lavoratori viene applicato il contratto del commercio, alcune aziende dell’abbigliamento utilizzano quello dei tessili (più conveniente). Qualche tempo fa si era evidenziato un eccessivo ricorso al contratto di associazione in partecipazione (il lavoratore viene “associato” e retribuito in base agli utili di impresa).

“Nel passato – spiega Ferruccio Fiorot, segretario nazionale della Fisascat Cisl – si è registrato un uso distorto di questa formula, che di fatto veniva utilizzata per non pagare o pagare meno il lavoratore. Oggi il fenomeno è meno rilevante, anche perché la riforma Fornero ha ridotto a tre il numero dei possibili associati. L’occupazione sta tenendo, però bisogna considerare che c’è stato un certo travaso di addetti dai franchisor ai franchisee. Penso ad alcuni grandi gruppi che hanno ceduto dei punti vendita e, con essi, il  personale”.
Tra i comparti domina la grande distribuzione alimentare (30% del fatturato), con a seguire prodotti e servizi specialistici, abbigliamento, ristorazione, turismo. Il franchising è adatto all’imprenditoria femminile. Secondo un sondaggio di Franchising Nord le titolari di un punto vendita superano quota 20mila. E sono in crescita costante.

( da Avvenire, 9.11.13 )

11/11/2013
Mauro Cereda - mauro.cereda@cisl.it
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