CRISI
La moria di negozi cambia volto alla citta'

Ogni  due giorni a Milano chiude un negozio. Da tempo  il salto fra nuove  attività e quelle che cessano è preoccupatamente negativo. Oltre al danno economico, per le imprese e per i lavoratori, la sequela di saracinesche abbassate  con il cartello "vendesi" cambia il volto della città. Guarda la fotogallery

Ci sono  strade della città,  soprattutto in periferia ma anche in centro, dove ogni mese dell’anno  sembra di essere d’agosto. Con un differenza, nel cuore dell’estate, la chiusura  è per ferie, e quindi temporanea.  Negli altri casi, invece, è definitiva: per cessata attività. Il fenomeno è conosciuto, è uno degli aspetti più evidenti della crisi ma sapere che ogni due giorni, a Milano, chiude un negozio fa un certo effetto. Il grido di allarme arriva direttamente da Carlo Sangalli presidente della Camera di commercio che oggi sul Corriere della sera, in un articolo a firma di Elisabetta Soglio  dice “In sei mesi chiusi 429 esercizi commerciali, 337 le nuove aperture. Boom delle sigarette elettroniche, lieve flessione anche nei negozi di generi alimentari. Questi numeri sono il bilancio di una città che sta perdendo pezzi della sua economia e della sua identità, perché le strade più buie e deserte sono una sconfitta per tutti. Tra l’altro, in moltissimi casi chiudono negozi con una storia alle spalle, lasciando il posto ad altri che sono meno radicati e che spesso non riescono a sopravvivere”. “Le imprese  hanno già iniziato a reagire attraverso processi di innovazione e di alleanze e anche le istituzioni locali hanno intensificato le azioni a sostegno del mondo imprenditoriale, ma i numeri ci dicono con chiarezza che serve uno sforzo ben più incisivo. Soprattutto sgravando le imprese dal macigno del fisco eccessivo e della burocrazia che strangola”.

Una crisi che si protrae da tempo con effetti devastanti sull’occupazione. Le politiche di sostegno  locali si sono dimostrate insufficienti per un settore vitale dell’economia italiana che richiede risposte complessive a livello nazionale. Le preoccupazioni non riguardano solo il sistema dei piccoli negozi  ma cominciano ad interessare  anche la grande distribuzione che tiene nel settore alimentare ma che registra una flessione del 20 per cento del fatturato per il no-food con un livellamento  verso il basso della qualità dei prodotti.

27/08/2013
redazione - info@jobedi.it
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