RIFLESSIONI E PROVOCAZIONI
Crisi e suicidi, il vero male è il lavoro in nero

Il sindacato come attore sociale. La rabbia e la disperazione di una crisi senza precedenti impongono domande. E distinguo fondamentali: con il lavoro non regolare non

Lo sa anche l’imprenditore Felice Romano di Pomigliano che la sua è una provocazione quando, nell’esortare i propri conterranei ad «adottare un cittadino in difficoltà», aggiunge «anche con assunzioni in nero: niente buste paga, nessun contributo previdenziale».

E’ la reazione di rabbia di chi si sente impotente di fronte ad una catena di suicidi che, per ragioni di indigenza, stanno falcidiando la popolazione italiana come mai era accaduto negli ultimi decenni.

Ma se tali reazioni sono comprensibili, ancor più se dette a caldo e nell’ambito dei contesti nei quali accadono i fatti, in nessun modo si può condividere, ed ancora meno consentire che tali affermazioni vengano rese note al più ampio pubblico.

Non si tratta di censura, ma di valutazione delle conseguenze che una tale esortazione può determinare.

L’assunzione in nero, come via di lotta alla crisi, non può essere trovare alcuna giustificazione in quanto non è il mero aspetto economico ad essere posto al centro della questione, ma la tutela e i diritti della persona.

In una frase che apparentemente sembra voler esortare solo a trovare soluzioni rapide per poter fronteggiare la piaga della disoccupazione, della mancata occupazione dei giovani (percentualmente  pari ad 1 su 3), così come delle persone di mezza età che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro, si cela un incoraggiamento al mancato rispetto delle minime, ma fondamentali regole che attengono alla salvaguardia della salute e sicurezza sul lavoro. Perché non va dimenticato che dietro la mancata  stipula di un contratto non vi è solo l’assenza di tutela previdenziale, come l’imprenditore provocatoriamente afferma, intendendo richiamare l’attenzione sulla tassazione (eccesiva) che grava sul lavoro, ma c’è la mancanza di una totale copertura sul piano, sia delle eventuali conseguenze determinate da un infortunio grave o mortale o una malattia professionale, sia, ancor prima, dei diritti a vedersi garantite adeguate condizioni di lavoro.

Fronteggiare la drammaticità dei suicidi con una esortazione ad offrire lavoro a qualsiasi condizione, esponendo così le lavoratrici e i lavoratori a qualsiasi rischio lavorativo, non è la via da perseguire, ma neanche lo slogan provocatorio da adottare per smuovere le coscienze.

Veicolare al mondo, ai giovani, che per superare i momenti di crisi e di difficoltà si può anche scendere a compromessi che portano a mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri è un messaggio che danneggia oltre il valore stesso delle parole pronunciate.

Puntare a salvare la vita (di chi è spinto a volersela togliere) offrendogli come alternativa l’esposizione al rischio per se e per gli altri, non può e non deve in alcun modo essere presentata come ipotesi perseguibile, anche solo nei termini di provocazione espressa in un momento di estrema difficoltà collettiva, della quale il nostro Paese ne sta registrando le conseguenze.

Il momento è senz’altro difficile e le soluzioni non sembrano molte e a portata di mano, specie per i tanti che oggi hanno difficoltà economiche e di lavoro rilevanti, ma è dovere di tutti, proprio per non andare ad intaccare anche le basi valoriali che ancora oggi permangono e tengono coeso il vivere collettivo, offrire ai giovani soluzioni che richiamano anche a sacrifici, ma che non intaccano le regole del vivere civile.

Il sindacato oggi è chiamato anche a questo, nel suo ruolo fondamentale non solo di soggetto di rappresentanza, ma soprattutto di attore sociale.

06/05/2013
Cinzia Frascheri
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