Gli appunti del rapporto presentato dal Cnel e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano

Il 19 novembre scorso è stato presentato a Roma il rapporto "Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano", a cura di CNEL e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Era presente anche la segretaria cisl di Milano Maria Grazia Bove e qui ospitiamo i suoi "appunti" stilati con Maurizio Bove, sugli interventi di relatori e ospiti, per fare il punto.

 

Introduce il rapporto "Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano", a cura di CNEL e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Antonio Marzano, Presidente del CNEL , che richiama innanzitutto la necessità di de-ideologizzare il tema dell'immigrazione, affrontando  nel merito le questioni aperte in materia di lavoro.

Oggi gli stessi sindacati, anche nelle regioni del Nord Italia, sono preoccupati per la crisi e per la conseguente contrapposizione tra lavoratori italiani e immigrati: è necessaria quindi una riqualificazione del mercato lavoro a livello generale, puntando su apprendistato, politiche attive per chi ha perso lavoro, innovazione per reggere la competitività.

Non bisogna poi dimenticare le seconde generazioni, che sempre meno sono intenzionate a seguire i percorsi dei genitori e ad accontentarsi di lavori poco qualificati: il tema è delicato e, se non si affronta per tempo, potrebbe avere ripercussioni sulla futura coesione sociale.

Necessaria, infine, una revisione profonda nella gestione dei nuovi flussi: è giusto e prudente limitare oggi gli ingressi, far emergere i lavoratori irregolari, ma soprattutto è necessaria una riforma complessiva dell'ordinamento per un superamento definitivo della Bossi Fini

Interviene quindi il Prof. Dell'Aringa (Università Cattolica di Milano) che illustra nello specifico l’indagine. Il focus è la velocità di assimilazione degli immigrati nel mercato del lavoro italiano : quali effetti provocano in Italia (concorrenza negativa o complementarietà positiva?) e come sono trattati. Il fenomeno è ancora relativamente recente: è la prima volta che viene fatto questo tentativo, utilizzando tra l’altro la banca dati dell'Istat, che censisce anche gli immigrati irregolari, e non quella dell'Inps, che ha il difetto di non distinguere i lavoratori sulla base del titolo di studio.

Sono stati confrontati diversi territori con differenti percentuali di presenza di lavoratori immigrati: in ognuno di questi, le persone scelte sono state seguite per studiarne la velocità nel trovare un impiego e la facilità di perderlo, mettendola poi in relazione con la maggiore o minore presenza di immigrati in quel territorio, con lo scopo di verificare gli effetti sui lavoratori italiani, soprattutto sulle retribuzioni. Il rischio non è infatti un incremento della disoccupazione degli italiani, ma una riduzione generale delle retribuzioni, come già accade in Usa.

In realtà, è emerso che in Italia non c'è questo effetto di spiazzamento: l'unico dato rilevato è una modesta difficoltà del disoccupato italiano espulso da mercato del lavoro a trovare una nuova occupazione laddove c'è una maggiore presenza di immigrati (quindi, se ne desume una maggiore facilità di ricollocazione per i lavoratori immigrati).

Si è registrato invece un effetto positivo sull'occupazione complessiva quando la percentuale di imprenditori immigrati è alta: un punto percentuale in più farebbe aumentare dello 0,15 % il tasso di occupazione generale.

Vi è però l'altra faccia della medaglia: se è vero che il tasso di occupazione dei lavoratori immigrati aumenta con l'aumentare della permanenza (più si integrano e più a lungo rimangono occupati), è altrettanto vero che lo sfruttamento, le posizioni di bassa qualifica, il sottoinquadramento e le retribuzioni più basse permangono anche per chi è qui da molti anni.

Vi è quindi un evidente mancato sfruttamento del loro capitale umano, che non si registra più in nessun Paese dell'Unione Europea...ed è questo forse il vero motivo per cui non sono in concorrenza con i lavoratori italiani.

Se non si ristruttura il nostro apparato produttivo, soprattutto in relazione ai servizi, i lavoratori immigrati continueranno a sostituire nelle mansioni meno qualificate i lavoratori italiani che man mano vanno in pensione, mentre i nostri giovani, sempre più laureati, continueranno a cercare lavoro in settori ormai saturi. Bisogna quindi riqualificare il mercato del lavoro italiano in generale e, nello specifico, i servizi (welfare, turismo, etc) per renderlo più appetibile anche per i nostri giovani.

Il futuro sta in una minore segregazione e in una maggiore e sana concorrenza.

Hanno quindi inizio gli interventi degli ospiti

Lamonica (CGIL): È nel sindacato che abbiamo l'unica vera espressione di una cittadinanza di base, l'unico ambito di vera integrazione. Nel sindacato i lavoratori immigrati trovano riconoscimento, rappresentanza e ruoli di responsabilità. Non per niente i tre Sindacati Confederali rappresentano insieme un milione di lavoratori immigrati.

È vero che nel concreto la concorrenza tra lavoratori immigrati e italiani non c'è: nella percezione generale, però, esiste e la colpa deve essere imputata alle politiche di questi anni. E' necessario, quindi, ripartire da un racconto diverso dell'immigrazione.

Innanzitutto, bisogna premettere che i lavoratori immigrati sono colpiti dagli stessi fenomeni che colpiscono i lavoratori italiani, sebbene ne subiscano maggiormente gli effetti. In primo luogo, c'è il problema della dequalificazione rispetto al titolo di studio: il sistema produttivo non innova e non investe in ricerca, aggravando così gli effetti della crisi.

D'altra parte, i processi di integrazione vanno avanti più di quanto noi possiamo immaginare: basta pensare alla crescita imprenditorialità immigrata, anche femminile, e al fatto che le lavoratrici donne sono sempre più protagoniste nel mercato del lavoro e non solo nel settore dell’assistenza agli anziani (nel Sud Italia le immigrate occupate sono il doppio delle italiane). E' per questo, tra l'altro, che bisogna affrontare seriamente tematiche come quella della seconda generazione, con una modifica della normativa sulla cittadinanza, e quella del diritto di voto amministrativo.

Infine, non può essere sottaciuto il lavoro irregolare: è la normativa stessa che produce irregolarità (basta pensare alla farsa del decreto flussi o al fallimento dell'ultima sanatoria). Dove c'è irregolarità, non c'è censimento e gli effetti sono ben diversi da quelli rilevati dalle indagini: primo tra tutti, il fenomeno del dumping contrattuale.

A proposito di luoghi comuni, una battuta conclusiva sul welfare: i lavoratori immigrati danno molto di più di quanto non ricevano e uno dei temi da affrontare al più presto, prima che diventi "scottante", è quello delle pensioni e degli accordi bilaterali tra Italia e Pesi di origine.

Marchetti (Confindustria)

Ritiene che ci sia, invece, un'effettiva concorrenza nei servizi tra lavoratori immigrati e italiani, da monitorare

Saggia è stata poi la scelta di limitare per quest’anno l’entrata di nuovi lavoratori dall’estero: il lavoro immigrato si concentra nelle fasce basse, quindi bisogna trovare nuove modalità di ingresso per non dover ricorrere a continue sanatorie. Ad esempio, bisogna puntare sull’art.23 del Testo Unico: gli ingressi in seguito a formazione all'estero o il lavoro di cura, cioè, dovrebbero essere "fuori quota", con un incrocio domanda/offerta sul territorio e non a distanza, soprattutto per mansioni così delicate

Sarebbe poi necessaria, in generale, maggiore flessibilità (per esempio, con un maggiore utilizzo dei contratti intermittenti) per contrastare l'irregolarità

Ocmin (CISL)

Giusto puntare a un mercato del lavoro più competitivo per arricchire e far crescere il nostro Paese e per dire basta ai lavori riservati ai soli immigrati: è diseducativo e miope parlare di lavori di serie A e lavori di serie B, così come è miope lasciare interi settori al lavoro dequalificato (le “badanti” ne sono il principale esempio).

Altrettanto giusto chiedere una riforma della legge sulla cittadinanza e un'estensione del diritto di voto, ma senza ideologie: condizione pregiudiziale, però, è la conoscenza della lingua italiana, già nel Paese di origine.

Necessaria, allo stesso modo, una seria lotta all'illegalità: bisogna combattere l'evasione fiscale e contributiva, anche tra gli immigrati. I lavoratori immigrati, infatti, non hanno bisogno di risposte diverse, ma delle stesse soluzioni che devono essere trovate per i lavoratori italiani

Casucci (UIL)

Forse bisognerebbe partire da una prima domanda: cosa sarebbe successo se in Italia non fossero arrivati gli immigrati? Il nostro Paese sarebbe più povero, meno popolato e meno ricco, in tutti i sensi. L'immigrazione in Italia ha delle connotazioni diverse da quelle riscontrabili negli altri Paesi: gli immigrati in Italia hanno un effetto di sostituzione del gap demografico, sono lavoratori meno qualificati, spesso sono impiegati nel sommerso (non dimentichiamo che un quarto dell'economia italiana vive nel sommerso) e soffrono di una mancata valorizzazione del capitale umano che apportano.

E' necessario innanzitutto rivedere la normativa italiana in materia di immigrazione, per non essere continuamente costretti a inseguire l'emergenza e per contrastare, in primo luogo, l'utilizzo di manodopera senza permesso di soggiorno.

Il dumping contrattuale esiste, sebbene non abbia ancora provocato forti tensioni: se è vero il dato che stima 500mila irregolari in Italia, esiste una concorrenza sleale, seppure involontaria. Da non trascurare, inoltre, il fenomeno dell'irregolarità di ritorno, ovvero di chi perde il permesso di soggiorno in seguito alla perdita del posto di lavoro: il tanto atteso prolungamento da 6 mesi a 1 anno della durata dei permessi di soggiorno per attesa occupazione è ormai quasi insufficiente, dato il perdurare della crisi.

Piuttosto che ricorrere a continue sanatorie, infine, sarebbe forse più efficace prevedere forti incentivi all'emersione, soprattutto nel settore del lavoro domestico, come accade del resto in altri Paesi.

Forlani (Direttore Generale dell'immigrazione - Ministero del Lavoro)

La ricerca presenta un cambio di impostazione apprezzabile. D'altra parte, dato che la percentuale di immigrati presenti in Italia arriva ormai quasi al 10%, è davvero necessario cambiare registro.

- Oggi si rileva un aumento della disoccupazione e un calo dell'occupazione anche tra i lavoratori immigrati: c'è in effetti un aumento dell'offerta rispetto alla domanda, anche in settori "tradizionali" come quello dei servizi. I dati parlano di circa 370mila disoccupati stranieri, ai quali devono essere aggiunti i nuovi ingressi per Ricongiungimento familiare, che non appena arrivati in Italia concorreranno alla ricerca di un lavoro. Da non dimenticare, poi, gli effetti provocati dalla libera circolazione dei neocomunitari (Romeni e Bulgari), che ormai coprono la gran parte della domanda: una tendenza che aumenterà ancora di più con l'entrata in vigore della Blu Card (permesso di soggiorno per alte professionalità). Quindi, il fenomeno da tenere effettivamente monitorato oggi è quello dell'irregolarità di ritorno.

Le “sanatorie” non funzionano più, così come i “decreti flussi”: ci sono comunità che si sono ormai organizzate per fare affari su questi provvedimenti. Al contempo, calano le aspettative degli italiani e aumenta l'offerta degli immigrati, anche con le seconde generazioni: un problema, quest'ultimo, che, se non affrontato diventerà emergenza.

E' necessario quindi migliorare il mercato del lavoro e combattere il sommerso grazie al meccanismo delle detrazioni, così come fanno negli altri Paesi. Ed è opportuno d'ora in poi gestire i flussi in maniera selettiva, garantendo l'effettiva occupazione per i lavoratori formati e puntando sugli ingressi per tirocini e stage: non bisogna dimenticare, infatti, che il lavoro irregolare ha come prime vittime gli stessi immigrati regolari.

04/12/2012
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