Gli effetti della Riforma Fornero
Il lavoro che cambia

di Danilo Galvagni

Una rivoluzione dell’organizzazione del lavoro è in atto anche in Italia. L’abbattimento dei costi fissi ne sta cambiando il volto. Un paese che ha bisogno di innovazione per competere ma che ha, da una parte la struttura rigida del lavoro che gli deriva dalle assunzioni del passato, e dall’altra, per il presente, sceglie la precarietà. La rigidità del sistema non si è concretizzato solo nella sicurezza del posto di lavoro come vorrebbero farci credere quelli troppo impegnati ad abbattere le tutele. La rigidità di cui parlo è quella che ha pesato e continua a pesare sui lavoratori/trici e le loro famiglie con l’organizzazione degli orari, dei movimenti in entrata e in uscita senza flessibilità senza coerenze con chi ha responsabilità di cura, periodi di disagi personali o famigliari nella vita, l’organizzazione del lavoro non è diventata “amichevole” ne con donne ne con uomini e lo stesso mercato del lavoro non si è regolato di conseguenza, guardiamo a tutti gli sforzi fatti e che facciamo nell’organizzare i lavoratori e le imprese per conciliare i tempi di famiglia e lavoro, tutti i buoni propositi per utilizzare meglio i partime Stiamo affrontando una trasformazione e per questo è necessario comprendere che non stiamo perdendo qualcosa ma stiamo ricostruendo, dopo un momento storico che anziché guardare con gli occhi puntati verso il futuro ha preferito guardare con gli occhi puntati contro il passato. Ciò che è mancato, in questa riforma dello scorso luglio, è stato il collegamento con le politiche di sviluppo ma anche con la riforma pensionistica, gestita dallo stesso soggetto, guardando in maniera strabica lo stesso oggetto il mercato del lavoro. Il problema si è concretizzato quando le regole del lavoro non hanno più trovato i soggetti a cui applicarle. Anche per le nuove figure professionali e i nuovi mestieri non ci si è posto il problema di conoscerli e di tutelarli: conoscerli significa sapere che per molti di loro il lavoro non coincide con un luogo ma con una attività. Tutelarli significa lanciare un forte messaggio al Governo e alle aziende che occorre credere anche per questi lavoratori nell’importanza di una soggettività che li possa tutelare nelle prestazioni assistenziali, previdenziali ecc. oltre che rafforzandone il senso di appartenenza e di partecipazione.

Sul nostro territorio si stanno creando le condizioni per cui dal confronto si possa passare ad una proficua concertazione e contrattazione. Dobbiamo fare di questa circostanza un punto di forza per concludere accordi con Istituzioni e Parti datoriali che diano vita a sperimentazioni ed interventi efficaci. Un lavoro per lo sviluppo del territorio, per creare occupazione, per migliorare il welfare e i servizi per la prima infanzia, con politiche di conciliazione anche originali e che includano strade pensate con i lavoratori.

Se entriamo infatti nell’analisi dei punti che dovevano essere innovativi nella riforma vediamo dei passi indietro e poco altro. Sul contratto a tempo determinato ci sembra fallimentare il tentativo di eliminare il meccanismo distorsivo delle proroghe infinite e limitare gli abusi con il meccanismo perché stanno aumentando in misura maggiore i periodi di non lavoro. Minimo tre mesi tra un contratto e l’altro, e su questo buco la riforma Fornero che budget pensa di avere? Quelli che non ha neppure per gli esodati?

Per quanto riguarda il sindacato e le vertenze di lavoro c’è una novità con cui dovremo fare i conti: viene eliminato l’obbligo di indicare la causa. E’ il primo contratto di lavoro in Italia “A-CAUSALE”. Questo apre uno scenario completamente nuovo che tramite la Contrattazione Collettiva saremo chiamati a gestire. Ha mancato più di una occasione questa riforma; si è persa l’opportunità di valorizzare il part-time, nonostante il rafforzamento della facoltà di recedere dalle  clausole elastiche e flessibili. Resta forte l’ambiguità sulla distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Senza tutela per il secondo, anche il primo vedrà scimmiottare con contratti truffa le sue attività, ovvero se si assume con partita iva un lavoratore che fa il medesimo lavoro de collega è ridicolo, ma se si assume un lavoratore per coprire fasce orarie diverse, servizi nuovi, spazi di mercato che meritano una gestione diversa, può andare bene, ma allora dobbiamo tutelare anche questi lavoratori evitando che appaiano più economici per le aziende, per altro a discapito del senso di sicurezza di tutti. Mentre se si valorizzasse anche l’occupazione dei lavoratori autonomi avremmo meno ingiustizie sociali e più stili di lavoro, che potrebbero far bene.

Per quel che riguarda i licenziamenti, dobbiamo concentrarci sulla gestione dell’istituto di conciliazione obbligatoria PREVENTIVA stabilendo criteri di massima efficacia ed efficienza affinché il ruolo delle commissioni non si riduca a mero adempimento formale ma possa assumere una reale funzione di riduzione dei contenziosi giudiziari. Dobbiamo comunque star a vedere quale sarà l’impatto reale del nuovo rito speciale per le controversie in termini di efficienza sul sistema giudiziario. Sulle tutele quindi non solo non dovremo essere rinunciatari ma dovremo sentirci rappresentanti nell’arena delle parti sociali di tutti i lavoratori, senza distinzione di classe e di età.

Le risorse per il finanziamento della Cassa in Deroga, sono diminuite, sono garantite comunque fino al 2016, ma questa tutela è destinata a scomparire. Allora serve pensare a qualcosa di migliore, rilanciare! Nell’esperienza lombarda il Sindacato e le Istituzioni hanno potuto sperimentare un modello di gestione dalla Cigd strettamente connesso all’utilizzo delle politiche attive, in raccordo costante con il territorio di Milano, favorendo la ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi. Quindi la gestione delle regole e delle modalità degli ammortizzatori sociali deve continuare ad essere frutto della concertazione tra Parti Sociali e Regione.

La vera sfida sta nella costituzione dei fondi di solidarietà bilaterali.

La riforma obbliga, definendo il ruolo delle Parti Sociali, la costituzione di Fondi di solidarietà bilaterali per le imprese sopra i 15 dipendenti dei settori scoperti dalla Cigo. Per le aziende con meno di 15 dipendenti la costituzione dei fondi non è obbligatoria ma possibile e questa è per noi una grande opportunità: si gioca qui tutta la nostra efficace esperienza di gestione e promozione della bilateralità. I futuri Fondi di solidarietà bilaterali potranno fondersi con i Fondi Interprofessionali per la formazione continua, non tanto, secondo il nostro punto di vista, per finanziare le prestazioni di integrazione al reddito, quanto per finanziare le politiche attive con programmi formativi di lavoro. Ma attenzione, la posizione della Cisl di Milano anche in questo caso è pro-attiva e propositiva; abbiamo studiato gli intoppi dei corsi di formazione, uno fra tuti quello per cui trattando soldi pubblici si ha un atteggiamento un po’ superficiale.

A riguardo sottolineo con forza che non si è fatta una vera politica attiva del lavoro, perché le politiche attive del lavoro non saranno efficaci fino a quando i soldi serviranno solo a pagare i formatori, anziché' permettere ai lavoratori nel frattempo di lavorare e fare pratica di ciò che studiano percependo per questo lavoro del reddito. Non vi piacerebbe che i nostri lavoratori o i giovani in cerca di professionalizzazione potessero seguire ad esempio un corso da elettricista o da creatore di siti web e nel frattempo essere impiegati in attività lavorative coerenti dove mettono in pratica quello che per esempio al mattino studiano e il pomeriggio praticano in o per aziende? Percependo appunto per questo impegno i soldi del capitolo “politiche attive di lavoro”?

29/10/2012
Danilo Galvagni segretario generale Cisl Milano - info@jobedi.it
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