GLI INCONTRI DI JOB
Unire le forze per ridare dignita' al lavoro e speranza ai giovani

Coordinare le risorse e le iniziative  per superare la crisi e impostare un nuovo modello di sviluppo e nuovi stili di vita. Acli, Cisl, Confcooperative, Pastorale del lavoro a confronto sull'eredità del cardinal Martini e le difficoltà del presente.

L’ascolto degli altri e l’ascolto della propria coscienza. Questa è l’eredità più preziosa che ha lasciato alla città il cardinale Carlo Maria Martini, una figura che è ancora un punto riferimento spirituale e non solo per credenti e non a Milano.

Se n’è discusso oggi all’incontro Le fabbriche il lavoro , organizzato da Job e Cisl Milano, dove sono intervenuti esponenti di Acli, Pastorale del Lavoro e Confcooperative. L'incontro ha partorito anche una proposta concreta. «C'è bisogno di dare speranza ai giovani - ha detto il segretario generale della Cisl Milano, Danilo Galvagni -  e per questo siamo tutti concordi di rinnovare questo tavolo e di vederci periodicamente per stabilire un programma concreto per le opportunità lavorative ai giovani».

RICORDO VIVO - «L’attenzione particolare che il cardinale aveva nell’ascoltare le persone – ricorda don Raffaello Ciccone, che ha guidato la Pastorale del Lavoro della Diocesi di Milano dal 1995 al 2010 a stretto contatto con Martini – lo hanno fatto diventare il cardinale di tutti. Ricordo che non voleva venire a Milano quando nel 1979 lo aveva chiamato l’allora papa Giovanni Paolo II. Riteneva di non aver avuto una formazione pastorale adeguata per guidare la città ma con la sua propensione all’ascolto e al ritrovare la propria coscienza ci è riuscito egregiamente. Diceva: ascoltiamo e facciamoci guidare dalla nostra coscienza che è poi un concetto ereditato da San Tommaso d’Aquino del 1200. E per gli oltre 22 anni che è stato vescovo della città è riuscito sempre ad avvicinarsi ai problemi reali e le migliaia di giovani in Duomo il giovedì sera che lo andavano a sentire sono le testimonianze più vive di questa vicinanza».

Con la Pastorale del Lavoro la Chiesa in città ha avuto un ruolo fondamentale. E a volte il cardinale è stato anche profetico. Quando Don Raffaello ha ricordato un discorso del 1986 di Martini sembrava ci fosse un errore di data: «Diceva che nelle camere oscure della politica imperversavano affari e tangenti. Quel discorso suscitò scalpore ma poi non ebbe un seguito. Il seguito concreto si ebbe solo con Tangentopoli nel 1992».

LAVORO ED ETICA – Il lavoro come lo intendeva il cardinale scomparso a settembre è un concetto che ha valenza anche e soprattutto moderna. «Fra le forme di idolatria – è stato ricordato da Paolo Petracca presidente delle Acli di Milano – lui inseriva anche la convinzione che il lavoro avesse il predominio sulla persona. E in tempi più recenti, nel 2000, aveva messo in guardia dall’avanzamento della flessibilità come concetto dominante che voleva trasformare i lavoratori solo in giovani, scattanti, vivaci, pronti a modularsi». Mentre per Alberto Cazzulani, presidente di Confcoperative di Milano «il pericolo è ancora in agguato: «Il cardinale criticava la flessibilità e oggi il lavoro, per chi ce l’ha, rischia di essere monopolizzante ed esigente. La crisi ha portato i giovani fuori dall’Italia e la realizzazione della propria persona spesso si associa alla necessità di espatriare. La classe dirigente in questo ha colpa: deve ascoltare e ridare segnali di speranza. E anche di sobrietà, un valore che Martini aveva sempre promosso».

«Se fosse ancora qui – dice don Walter Magnoni, attuale responsabile della Pastorale del Lavoro – credo che si impegnerebbe nella promozione di nuovi concetti e alcune revisioni. Voleva un nuovo Concilio. E voleva che si guardasse il mondo del lavoro all’interno della globalizzazione, senza ingenuità. Solo in questo modo si capirebbero le dinamiche del mercato e si potrebbe cercare di individuare in loro delle opportunità».

PROSPETTIVE - «Per quanto mi riguarda la definizione  più preziosa che ci ha lasciato il cardinale – ha detto Galvagni – è la definizione di sindacalista. Lo descriveva come colui che si mette in leale rapporto con gli altri, responsabile dei diritti umani, cerca di capire e guarda all’essenziale. Non ha preoccupazioni per propri interessi monetari e rifiuta il privilegio che è il tarlo di ogni convivenza. Ce ne dovremmo ricordare anche quando diceva che è importante lottare per il giusto riconoscimento economico ma soprattutto per un posto di lavoro che sia la realizzazione non solo economica ma anche sociale dell’uomo. Già nel 1997 diceva che c’era bisogno di rifondare su basi morali il concetto di lavoro e di costruire un’identità. Il sindacalista ascolta e noi lo abbiamo sempre in mente quando facciamo le tante assemblee nelle aziende. Ma c’è bisogno anche di farsi promotori di una cultura dell’identità ancor prima che imporsi per la difesa dei posti di lavoro. La rappresentanza deve essere anche rappresentanza di identità culturale. E in questo aspetto, credo che un ulteriore obbligo per le organizzazioni sindacali sia quello di promuovere solidarietà tra lavoratori».

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17/10/2012
Christian D Antonio - c.dantonio@jobedi.it
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