INTERVISTA
Carrubba, com'è bello vivere a Milano

"La città ha un suo fascino. E una grande capacità: essere sempre al centro dei cambiamenti. Ecco perchè mi piace viverci." Mercoledì 19 alla Cisl di via Tadino presentazione del libro "Il cuore in mano" con l'autore e il sindaco Pisapia.

Giornalista, scrittore, già assessore alla Cultura del Comune di Milano (Giunta Albertini), attuale presidente dell’Accademia di Brera, Salvatore Carrubba conosce bene e ama Milano. Tanto da dedicarle un libro: "Il cuore in mano" (Longanesi).

Professore, Milano le piace?

Si. Purtroppo c’è la tendenza a descriverla più dimessa e con meno punti di forza di quella che ha. Non è bella come Parigi, Londra o Roma, però mantiene un grande fascino, che deriva dalla sua storia, dalla sua capacità di essere sempre al centro del cambiamento. Milano mi piace e ci vivo bene da più di 60 anni.

Qual è l’identità di Milano?

Anche se ha perso le sue industrie resta la città dell’impresa, della finanza, la metropoli più ricca d’Italia. Milano conserva intatto il suo spirito di iniziativa, che si manifesta ad esempio nella ricerca, nelle sue università o nelle attività di servizio: tutti fattori che favoriscono l’impresa.

E’ una città culturalmente viva?

Direi proprio di si. E’  uno dei principali centri in Italia per l’arte contemporanea, forse più di Roma. Ha una rete di musei fortissima e un sistema universitario di eccellenza. E' prima nel paese per i teatri. E' sede di realtà industriali e imprenditoriali legate alla cultura: informazione, editoria, pubblicità. Basta scorrere e confrontare la lista degli spettacoli offerti ogni giorno qui e in altre città... Come si fa a negare che sia una delle città culturalmente più avanzate d’Europa? Mi arrabbio quando sento dire che a Milano non si fa cultura.

Lei nel libro dice che si fa cultura anche ristrutturando una biblioteca in periferia.

Ma gli sponsor preferiscono il grande evento...

Questo è un problema. In tutto il mondo ci si interroga su come finanziare la cultura, in una fase in cui il pubblico tende a tagliare i finanziamenti. Io penso che il pubblico dovrebbe preoccuparsi di valorizzare al meglio il proprio patrimonio, facendo in modo che attiri turisti e visitatori. Non solo per un ritorno economico, pure importante, ma in una logica di civiltà e crescita civica. Perché il Louvre stacca 8 milioni di biglietti all’anno e Brera 250mila? Forse c’è qualcosa che non funziona. Bisogna pensare a una nuova strategia per la gestione delle strutture culturali, diversa da quella di oggi. Che è per lo più fatta di ordinaria amministrazione, con qualche evento spot che spesso lascia il tempo che trova. Non è facile far capire a un Comune che è più importante ristrutturare una biblioteca rionale, ovvero il servizio più democratico che ci sia, piuttosto che organizzare o finanziare una grande mostra. Questo compito lasciamolo al privato.

In che senso?

Bisogna lasciare ai privati la realizzazione di tutti quegli eventi che hanno un richiamo mediatico e una ricaduta economica maggiori. È così che si può indurli a investire. Ma ci sono molte resistenze, c’è un diffuso pregiudizio contro l’intervento dei privati sulla cultura. L’esempio del restauro del Colosseo è lampante: il progetto di Della Valle è stato osteggiato da più parti. Ma è sbagliato.

Perché?

Perché non si tiene conto della realtà. Gestire uno spazio culturale non significa soltanto tenerlo aperto, ma anche renderlo vivo, attrattivo per il pubblico: turisti e cittadini, perché la cultura ha una funzione sociale. Ma servono risorse, che spesso il pubblico non ha. Allora se interviene il privato che problema c’è? I musei, ad esempio, devono essere dei contesti dove si fa cultura, non dei luoghi espositivi e basta. Purtroppo i nostri musei sono ancora lontani da questa logica.

La Grande Brera vedrà mai la luce?

Oggi sono più ottimista rispetto a qualche mese fa. Il governo ha messo sul piatto 23 milioni di euro e il ministro della Cultura Ornaghi si è impegnato a trovare altre risorse tra i privati. È un passo importante, l’avvio di un processo: un conto è vendere chiacchiere, un altro presentarsi agli sponsor con un progetto su cui lo Stato ha deciso di investire. Poi noto attenzione anche dal Comune. Però serve più consenso da parte dell’opinione pubblica. Bisogna far capire ai milanesi che Brera è una grande scommessa per la città, che può diventare un simbolo della capacità di Milano di recuperare fiducia e realizzare grandi progetti.

Philippe Daverio, suo predecessore come assessore alla Cultura del Comune (Giunta Formentini), ha criticato su Job il Museo del Novecento, di cui lei è uno dei promotori. Come replica?

Tutto è perfettibile, ma io sono soddisfatto. Per anni non si è fatto nulla. Il Museo ha valorizzato e recuperato molte grandi opere del ‘900 rimaste a lungo negli scantinati. Oggi l’arte di quel periodo ha una sede moderna, centrale, creata da un grande architetto. Certe polemiche mi sembrano inutili: sarebbe stato meglio lasciare tutto allo sbando? Io sono contento di avere rimesso a nuovo musei e strutture che avevo trovato in condizioni disastrate, anche dopo la gestione Daverio. Negli ultimi anni la situazione dei musei, dei teatri, delle biblioteche di Milano è molto migliorata. Si tratta di risultati importanti che però si tende a sottovalutare. Ma sa qual è il vero problema?

Dica.

Che spesso i politici ragionano in un’ottica di breve e non di medio-lungo periodo. Puntano al risultato immediato. Un assessore non può porsi solo obiettivi che si realizzano nel suo mandato. Il Museo del Novecento è stato inaugurato da Letizia Moratti, ma abbiamo cominciato a lavorarci quando il sindaco era Albertini. Il che non mi scandalizza, sia chiaro. Se da assessore avessi pensato all’immediato, non avrei fatto niente. I politici dovrebbero essere più lungimiranti.

La “vicenda Macao” pone il problema degli spazi per i giovani artisti. Cosa si può fare?

L’ho detto tante volte: il problema non sono gli spazi, ma le prospettive che una città può dare ai suoi artisti per farli diventare imprenditori e professionisti della cultura. Non basta offrire loro dei capannoni. Servono servizi, opportunità anche finanziarie per creare impresa, organizzare dei festival, promuovere mostre. Milano è la città più creativa d’Italia e può fare molto. In Europa il settore creativo è quello che ha più crescita e più possibilità di sviluppo, ma le imprese che lo animano vanno accompagnate. Anche i ragazzi di Macao dovrebbe chiedere queste cose. Non degli spazi.

Il libro sarà presentato mercoledì 19 settembre, alle ore 18, presso la Cisl di Milano, in via Tadino 23. Sarà presente il sindaco, Giuliano Pisapia.

13/09/2012
Mauro Cereda - info@jobedi.it
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