RAPPORTO FIM LOMBARDIA
Metalmeccanica, 58mila lavoratori sospesi nel primo semestre

La recessione non dà tregua: 2.500 aziende in crisi, 2.300 licenziati e cassa integrazione ordinaria a +67%. Solo chi esporta più del 40% resiste.

Una nuova preoccupante impennata della situazione di crisi nel settore metalmeccanico lombardo sta coinvolgendo migliaia di lavoratori e imprese. Secondo l’Osservatorio della Fim Cisl Lombardia, nel primo semestre 2012 le aziende colpite sono 2.466, con 2.356 lavoratori licenziati e 58.737 sospesi. Il 33esimo rapporto della Fim mostra in definitiva una situazione allarmante, allineata con i dati di fine 2011, distante dal picco del 2009 ma comunque lontano dall’indice dei primi anni 2000.

«Il quadro è drammatico – dice il segretario generale Fim Cisl Lombardia, Nicola Alberta – e occorre tenere alta l’attenzione sull’industria manifatturiera e sul settore metalmeccanico: vanno affrontati i problemi in maniera responsabile e non bisogna aspettare che la congiuntura passi». Secondo Alberta, anche se le previsioni sull’anno prossimo mostrano un calo solo leggero dell’occupazione del settore, siamo ancora lontani dalla stabilizzazione. Nelle 5.700 aziende industriali lombarde che occupano circa 550mila lavoratori, il ricorso alla cassa integrazione ordinaria si è alzato del 9% nel semestre e del 67% rispetto a un anno fa con 1-519 aziende che hanno attivato nuove sospensioni di cassa ordinaria per oltre 38mila lavoratori. La straordinaria riguarda circa 18mila lavoratori di oltre 880 aziende.

TERRITORI – Maggiormente colpiti sono i lavoratori della provincia di Bergamo (con oltre il 19% delle sospensioni totali) seguiti da Milano (18.9%9 e Brianza (13,6%). «Per fortuna – dice Alberta – è stata sventata l’ipotesi del foverno di superare la cassa integrazione straordinaria perché ci sarebbe stato un peggioramento per migliaia di lavoratori in regione. Ora è la Regione Lombardia a dover delineare politiche industriali e settoriali di sostegno e ad attuare politiche del lavoro adeguate». E del rimpallo di responsabilità tra governo nazionale e locale? «Abbiamo dimostrato che con il caso Alcatel, con l’intervento del Ministero per lo Sviluppo qualcosa si può fare. Gli esuberi annunciati di 500 unità si sono ridotti a 200. Ma l’efficienza delle politiche del lavoro e della pubblica amministrazione potrebbe indurre i grandi industriali a investire in ricerca tanto da assicurarsi un futuro. Come fa la St Microelectronics che con lungimiranza sta progettando e ricercando soluzioni che solo fra due anni saranno sul mercato».

INNOVAZIONE PRIMA DI TUTTO – L’innovazione quindi salverà il settore, secondo il sindacalista. «Milano è soprattutto territorio di multinazionali e piccola impresa diffusa, mentre Bergamo e Brescia hanno tutte le dimensioni e le realtà produttive rappresentate. Se a questo aggiungiamo una bassa natalità delle nuove imprese e un’altra mortalità di quelle che c’erano, abbiamo un quadro preciso di quello che è il settore nella nostra regione. Bisogna seguire l’impegno virtuoso di altre realtà, come la Francia che protegge la componentistica locale. Noi abbiamo anche bisogno di riduzione di costi di energia per il siderurgico e di una chiara politica di sostegno alla produzione». Come si traduce tutto questo nel concreto? «Chiediamo di sensibilizzare gli istituti di credito a dare finanziamenti a chi vuole investire, e di valutare i singoli settori caso per caso. Ad esempio, non è vero che l’informatica è in crisi. Ci sono però aziende come Alcatel e Nokia-Siemens che cercano di ristrutturarsi come meglio credono in ambito europeo e questo riposizionamento dovrebbe essere fatto senza danneggiare chi lavora in Italia». Preoccupazione maggiore invece c’è per il comparto degli elettrodomestici e dell’automotive e componentistica. «Se c’è invece un segmento che resiste bene alla crisi – dice Alberta – è quello delle aziende che hanno una quota di export pari o superiore al 40% di quello che producono».

26/07/2012
Christian D Antonio - c.dantonio@jobedi.it
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