RICERCA SU GIOVANI E OCCUPAZIONE
Anche manuale, basta che sia un lavoro

Il posto, prima di tutto, serve per portare a casa uno stipendio e solo dopo per realizzarsi. Per ottenerlo, poi, più che il merito serve un po' di fortuna e, soprattutto, delle buone conoscenze. Nonostante tutto gli under 30 italiani non mollano.

Un po' disincantati e poco entusiasti. Sono i giovani italiani di fronte al lavoro, così come li ha fotografati una ricerca condotta dall’agenzia per il lavoro Gi Group, in collaborazione con Od&M Consulting. Secondo gli intervistati (1.018 ragazzi tra i 15 e i 29 anni) per trovare un impiego e fare carriera sono molto importanti alcuni fattori non meritocratici (7.1 punti in una scala da 1 a 10), tra cui fortuna e conoscenze, in particolare di persone potenti. Per il 42% il lavoro rappresenta soprattutto la possibilità di portare a casa uno stipendio e solo in seconda battuta un’occasione di realizzazione personale (36%). Ciò che conta sono poi la sicurezza del posto (8.2), l’opportunità di avere aumenti di stipendio (8), le buone relazioni (specie con capi e colleghi, 7.9), mentre sembrano meno considerati i contenuti della propria mansione e gli aspetti legati alla crescita professionale. “Instabilità generale, mancanza di punti fermi, crisi persistente sembrano aver minato lo slancio proprio dei giovani che appaiono disincantati, pragmatici e meno rampanti rispetto al passato – commenta Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di Gi Group –; tutti noi dobbiamo lavorare affinché questo disincanto non si trasformi in nichilismo sino a ridurre l’obiettivo del lavoro ad un generico ‘portare a casa lo stipendio’, offrendo ai giovani percorsi di sviluppo professionale e buoni esempi da cui imparare. Istituzioni e operatori di settore devono intervenire subito, perché non ci si può permettere di ‘perdere’ questa generazione quando l’intero Paese ha bisogno della loro creatività per uscire dalla crisi”.

LE SPERANZE DEI RAGAZZI

Gli under 30, comunque, non si arrendono: 9 su 10 considerano la perseveranza il fattore più importante per inserirsi nel mercato. Per uno su 4 il settore pubblico rappresenta il settore di lavoro ideale, mentre 1 su 6, se potesse scegliere, avvierebbe una propria attività. Sono, invece, pochissimi quelli che opterebbero per una piccola impresa (6,5%). “La ricerca fotografa un mondo in difficoltà – nota Renato Zambelli, segretario della Cisl di Milano -, i giovani sono disorientati e ciò spiega questa visione un po' disincantata di fronte all’attività professionale. Io penso che si debba restituire senso e dignità al lavoro. Che deve servire a guadagnarsi da vivere, ma anche a realizzarsi e mettere in campo le capacità individuali. Mi fa piacere che tre quarti degli intervistati vedano nell’apprendistato un’opportunità per entrare nel mercato: è uno strumento che va valorizzato e che può contribuire a contrastare la precarietà. Infine inviterei i giovani a non snobbare la piccola impresa, perché essendo organizzativamente meno rigida è proprio lì che potrebbero trovare spazi per liberare la propria creatività”. Secondo la Cisl i dati dimostrano inoltre che qualcosa non funziona nel rapporto tra scuola-formazione e lavoro. La ricerca ha anche rivelato che i ragazzi considerano il lavoro manuale un “male necessario”; che 2 su 3 apprezzano i servizi di orientamento e stage offerti da scuole e università; che 8 su dieci si dicono disposti a trasferirsi per lavoro, anche se per lo più in altre regioni d’Italia (circa 40%) o in Europa.

25/07/2012
Mauro Cereda - info@jobedi.it
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