IL PERSONAGGIO\AGOSTINO BURBERI
Don Milani mi disse: "Vai e fai il sindacalista"

Da Barbiana a Milano. Dalla scuola di un prete ‘particolare’ all’esperienza nella Cisl milanese. Il racconto del primo chierichetto di don Lorenzo. La videointervista.

 

“Lo ricordo come se fosse ora. Era la sera del 7 dicembre del 1954, pioveva e faceva freddo quando don Milani arrivò, a piedi, anche perché non era possibile altrimenti, a Barbiana”. Agostino Burberi, all’epoca aveva 8 anni, è stato il primo ad incontrare il nuovo parroco che arrivava nel paesino di montagna del Mugello in obbedienza a quanto gli aveva ordinato la sua Chiesa. Vestito, come sempre, con i 36 bottoni della sua tonaca perfettamente abbottonati. “Il giorno dopo – ricorda ancora Agostino- gli ho servito la messa e dopo, con il vecchio parroco Mugnaini, ha fatto il giro di tutti e 42 i poderi sparsi intorno alla collina”. Poi il pomeriggio il primo annuncio alle famiglie: da domani apro il doposcuola per tutti (anche i “rossi più rossi” come li chiama Burberi che a quei tempi nel Mugello erano veramente tanti).
Il secondo atto del nuovo parroco di Barbiana è a dir poco ‘sconvolgente’: “La parrocchia possedeva due poderi. Don Milani chiama i due mezzadri e gli dice: ‘d’ora in avanti quello che riuscite a ricavare dalla terra è tutto vostro. Io non voglio niente’. Sarà anche strano – pensano i mezzadri che vedono i padroni che si
tengono il 50% di quello che producono come il fumo negli occhi - ma questo prete sta dalla nostra parte”.
Il terzo passo lo fanno gli ex parrocchiani di San Donato Calenzano che vengono a far visita a don Lorenzo di continuo con le borse cariche di cibo. “Se sono rimasti tanto affezionati significa proprio che questo prete è bravo”, pensano gli abitanti di Barbiana.
“È così che inizia la mia storia con Don Lorenzo. Senza di lui non saprei che strada avrebbe preso la mia vita – riflette Burberi – anche perché per noi lui era prete, maestro e padre. All’inizio eravamo in sei e per quattro anni abbiamo praticamente vissuto con lui, dodici ore al giorno per tutti i giorni, domeniche e feste comprese. Lui c’insegnava, ci sfamava si occupava della nostra salute. Un pedagogia semplice e diretta dove nessuno rimaneva indietro: non si passava al capitolo successivo se tutti non avevano compreso il precedente. Due libri di riferimento: il Vangelo e la Costituzione repubblicana. Perché per don Milani il “buon cristiano” andava di pari passo con il “buon cittadino””.
Burberi per dieci anni, cresce alla scuola di Don Milani. Dopo le elementari ci sarà la scuola di addestramento professionale (“i democristiani si scandalizzavano perché era aperta anche ai comunisti e i comunisti si arrabbiavano perché gli svuotava le Case del popolo”) e a 18 anni non ancora compiuti è pronto a prendere la valigia per andare a Milano a fare il sindacalista. “Perché il sindacalista, era d’accordo anche don Lorenzo, si poteva fare solo a Milano”.
Erano i primi anni Sessanta, e in via Tadino, sede della Cisl milanese, si respirava un’atmosfera particolare: ricca d’ideali, speranze, duro impegno quotidiano e grandi progetti per il futuro. “Si studiava anche e tanto – racconta Burberi-. Ricordo i compiti che spedivamo per posta al professor Zaninelli dell’Università cattolica. Lui ce li correggeva e stabiliva se eravamo pronti per la tre giorni alla Scuola di formazione a Firenze dove si decideva a chi dovessero andare le borse di studio per diventare operatori. E non finiva lì, ogni tre mesi c’erano le verifiche. Allora il sindacato era una cosa diversa, intensa, dove l’impegno, sacrifici
compresi, era sempre al primo posto. Gli insegnamenti di don Milani, anche quando nel 1986 ho deciso di uscire dalla Cisl per fare un altro lavoro, sono sempre stati il mio faro: primo, non essere superficiali. Tutto va studiato, approfondito compreso in ogni dettaglio; secondo, che sia la Chiesa, il sindacato o altro, non bisogna mai abbandonare la propria organizzazione e battersi all’interno per cambiare quello che non va; terzo, i tempo: è un dono di Dio e non dobbiamo
sprecarlo, stare a ‘scaldare la sedia’ non serve a nessuno; infine il tuo prossimo: è tutto quello che ti sta intorno”.
E il sindacato oggi “mi fa stare male. Non vedo una linea riconoscibile, nel Paese non si percepisce la sua presenza. Come sempre la soluzione sta nei giovani, a patto che s’impegnino e prendano in mano il loro futuro”.

23/11/2017
di Piero Piccioli
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