Mostra fotografica realizzata dai senza fissa dimora che raccontano loro stessi e come vedono la città. Borsa lavoro al vincitore che ora spera in un'assunzione
Al Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, fino al 15 Febbraio, tredici fotografi senza fissa dimora mostrano il loro sguardo sul mondo, su realtà ed esistenze al margine, le loro, la cui essenza spesso sfugge all'occhio comune. La mostra “Riscatti, fotografi senza fissa dimora” parla sì di povertà, ma soprattutto di dignità e speranza, attraverso 95 scatti forti dell'assenza di pregiudizi e incasellamenti, autentici proprio perché a fotografarli sono i loro protagonisti. L’esperienza diventa così arte, in un caleidoscopio di immagini che ribalta i paradigmi e i ruoli, col fare sincero di chi osserva dal dentro una situazione.
L'esposizione al Pac è il risultato di un percorso durato due anni, promosso dall'Associazione Terza Settimana di Torino, l'Assessorato alle Politiche Sociali e l'Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Il progetto, nato dall'esigenza del Centro Aiuto Stazione Centrale di trovare sempre nuove energie e reti in sostegno dei senza fissa dimora e dall’idea della giornalista Rai Federica Balestrieri, è stato realizzato in collaborazione con le agenzie fotografiche Echo Photo Agency e SGP di Stefano Guindani.
Nikon ha donato le macchine fotografiche e il corso, tenuto dai fotoreporter Gianmarco Maraviglia e Aldo Soligno, ha permesso a tredici senza fissa dimora- undici uomini e due donne - di apprendere il linguaggio fotografico e le tecniche utilizzate per cogliere le immagini forti e vivide della loro quotidianità, della loro voglia di riscatto. Durante il concorso che ha seguito la fine delle lezioni, una giuria molto prestigiosa ha eletto il vincitore, l'italo-argentino Dino Luciano Bertoli, che ha ottenuto una borsa lavoro di sei mesi, rinnovabili fino a un anno, presso l'agenzia fotografica SGP.
Gli scatti migliori sono stati esposti alla mostra sponsorizzata da Tod's e, per ogni opera venduta, parte del ricavato verrà devoluto in sussidio ai fotografi. «La mostra gli ha permesso di riattivarsi, di sentire che qualcuno crede in loro e psicologicamente questo è una molla» racconta Silvia Fiore, responsabile del Centro Aiuto. «Il vincitore del concorso fotografico ha ottenuto una borsa lavoro che si spera porti a un assunzione, ma l'aspetto più importante di quest'esperienza, sia per lui che per gli altri che ne hanno preso parte, è quello di avere un obbiettivo, uno scopo. Questa iniziativa non è solo finalizzata al lavoro, ma anche alla ricostruzione della dignità, il sapere che ci sei, che vali ancora». I partecipanti al progetto, sono stati selezionati in parte dal Centro Aiuto, sulla base di affidabilità, interesse e costanza e in parte presi dalla strada, grazie all’iniziativa promossa da Federica Balestrieri: «Volevamo organizzare qualcosa per tenerli occupati durante la giornata, però qualcosa di utile che poi gli restasse, un corso di formazione. Mi è venuta in mente la fotografia per due motivi, innanzitutto io lavoro in televisione e so benissimo quanto sia difficile portare gli obbiettivi, le telecamere in certi posti, i dormitori sono uno di questi, quindi volevamo che i senza fissa dimora ci raccontassero com’è la loro vita nella realtà, cioè come sono, come mangiano, cosa fanno, catturandola lì dove noi con le telecamere non potremmo arrivare. In secondo luogo ho pensato che il linguaggio fotografico fosse il più immediato e il più semplice anche per persone di lingua diversa o di bassa scolarizzazione».
Un'occasione quindi di reinserimento sociale e di formazione professionale, che ha richiesto impegno e restituito gratificazione. Per alcuni, la fotografia è stata una scoperta che hanno affrontato da coraggiosi neofiti, per altri invece è una passione di vecchia data. Come per Mario il “senzatetto in giacca e cravatta”, come lui stesso ama definirsi. La sua è una storia di quelle che abbiamo sentito mille volte e a cui facciamo ancora fatica ad abituarci. La sua giornata si divide tra i centri di assistenza o, quando la fortuna bussa alla porta, ospite di qualche amico. Per lui il corso di fotografia è stato un nuovo stimolo a mettersi ancora in gioco, grazie all’iniziativa infatti ha iniziato a lavorare come volontario al Social Market di Terza Settimana. È Mario a guidarci attraverso gli scatti esposti alla mostra del PAC, illustrandoci gli espedienti di una vita senza fissa dimora: come costruirsi un rifugio dietro alle transenne dei lavori in corso per ripararsi dal vento, fabbricare un forno ventilato con un fornello elettrico e della carta stagnola o a fare di un canestro da basket un moderno appendiabiti. È un uomo gentile e allegro, dagli occhi azzurri che ne hanno viste tante, ma ancora si emoziona, come all’apertura della mostra, davanti alla grande affluenza di pubblico e alla presenza del suo idolo, l’ex pilota di Formula 1 Alex Zanardi.
Prima di perdere tutto Mario è stato architetto e poi segretario di una biblioteca. Nella vita non si è mai fermato e racconta: «Mi piace ridere di me stesso, ma non permetto che lo facciano gli altri. Non cadere nella depressione e mantenersi attivi è ciò che ci salva». Un uomo che, nonostante tutto, ha mantenuto salda la sua dignità e che potremmo essere noi se la vita ci riservasse qualche mano sfortunata, come dice Federica Balestrieri: «E’ stata un’esperienza meravigliosa, che ci ha proprio cambiati e ci ha fatto vedere un mondo simile al nostro, molto vicino. È importante renderci conto che ormai la maggior parte dei senza fissa dimora, che dormono nei dormitori, sui treni o nelle macchina, sono persone che magari hanno perso lavoro da 3 o 4 anni, sono cadute in disgrazia, e sempre meno sono gli alcolizzati, che stanno sul cartone e vogliono vivere in strada. La maggior parte dei loro vuole un riscatto, ma fa fatica a trovarlo e questo ci insegna quanto sia labile la linea che divide noi da loro».