La mostra installazione del regista israeliano con film, proiezioni, voci e fotografie. Grande impatto e messaggio da Oriente a Occidente.
La cosa che colpisce maggiormente appena si entra nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, è come il regista Amos Gitai sia riuscito a trasformare l'ambiente storico bombardato e rinato in un vitale suk mediorientale multimediale. Ci sono proiezioni di film, voci registrate in loop, perfino un pezzo di documentario sul soffitto. L'incontro tra i due mondi, visto da qui, vale molto di più di mille documentari televisivi. E Milano sembra esserne la spettatrice ideale, specie di questi tempi.
Gitai è figlio del famoso architetto Munio Gitai Weinraub che fu costretto a scappare ad Haifa dopo essere stato condannato come "traditore del popolo tedesco" nel 1933. Il figlio Amos gli dedica il mini film Lullaby to My Father che si vede in questa avvolgente installazione milanese.
Il limite, ma anche il fascino, di questo tipo di video performance è che bisognerebbe passarci dentro, e rimanere in silenzio, da soli. Come per assaporare meglio Free Zone, il road movie dove Gitai mette a confronto tre donne (un'americana, un'israeliana e una palestinese) nella zona franca della Giordania. Le immagini tratte dal film sono esposte per i visitatori, urge documentarsi prima per capirne il senso.
Molto di impatto poi la scelta di montare dei tappeti orientali in varie fogge all'interno della sala. Sono "pezzi" di una sceneggiatura ancora inedita per un progetto di Gitai che si intitola Carpet. Come ha detto il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, "Palazzo Reale si è trasformato in un'opera d'arte in divenire dove gli spazi di accesso e gli stessi visitatori diventano parte di un'opera pensata per Milano".
Indubbiamente vincente la scelta di installare su un impianto già "ferito" (la sala porta visibili i segni delle bombe del 1943) le ferite di un mondo che è più vicino di quanto possiamo pensare. Gitai, che ha intitolato tutta la mostra "Ways" Strade, dice di aver voluto raccontare "la storia di fili che come in un tappeto si intersecano tra loro". In mostra fino al primo febbraio 2015.