Il voto del 4 marzo rappresenta indubbiamente una svolta nel panorama politico italiano. I segnali d’insofferenza, anzi di vera e propria sfiducia, nei confronti di chi negli ultimi anni ha governato sono evidenti. Così com’è evidente che il benessere di un Paese non è valutabile solo con i numeri degli indicatori economici che, pure, negli ultimi tempi sono tornati ad essere positivi.
Se una parte consistente del Paese, tutto il meridione, dove il tasso di disoccupazione giovanile rimane intorno al 50%, non sente nemmeno lontanamente gli effetti positivi del Pil in crescita e dell’export che vola, difficilmente si può parlare di vera ripresa: certo non lo è per chi è senza lavoro e reddito. Se c’è qualcuno che ancora non lo ha capito, compresi certi settori del sindacato, il verdetto degli elettori è stato inequivocabile. Non hanno pagato nemmeno le ‘cose a metà’: riforme sulla carta anche condivisibili ma che, poi, in fase di attuazione, sono rimaste monche. Penso al Jobs act, alla Buona scuola, per non parlare delle riforme istituzionali (già bocciate nel referendum del 2016) o della disastrosa abolizione delle Province senza che ci fossero le condizioni, a partire dalle risorse, per far decollare le Città metropolitane (a Milano gli effetti di questo stato confusionale li stiamo vivendo direttamente, a partire dai lavoratori dell’Ente). Se le ‘sentenze’ del voto degli italiani sono ormai chiare e condivise dai commentatori, altrettanto non si può dire per le prospettive: chi e come governerà l’Italia nei prossimi anni. Dal nostro punto di vista non possiamo che auspicare la stabilità, il dialogo, e la piena attuazione delle scelte che si faranno: le ‘cambiali in bianco’ non sono più tollerabili e, comunque, noi non le firmiamo. Aspettiamo che i programmi, fatta la tara con le promesse elettorali, diventino proposte su cui confrontarci.
L’accordo fra Confidustria Cgil-Cisl-Cisl, firmato proprio a cavallo del voto, sul sostegno allo sviluppo, l’innovazione e la rappresentanza, è un punto fermo per i nuovi governanti. Le parti sociali ci sono, si sono date delle regole e sono un interlocutore certo e imprescindibile per le politiche sociali e del lavoro, per il rilancio del Mezzogiorno (che si fa solo con un serio e consistente piano d’investimenti), per il corretto rapporto con l’Europa.