Ieri sera è morta a Milano Carla Passalacqua, storica dirigente sindacale della Cisl.
Carla ha ricoperto, dall'82 all'89, la carica di responsabile del Coordinamento Donne Nazionale poi Presidente del Comitato Nazionale Parità presso il Ministero del Lavoro.
Ieri sera è morta a Milano Carla Passalacqua, storica dirigente sindacale della Cisl. Dopo il Sinascel, Carla ha ricoperto, dall'82 all'89, la carica di responsabile del Coordinamento Donne Nazionale della Cisl, e successivamente quello di Presidente del Comitato Nazionale Parità presso il Ministero del Lavoro.
Con lei se ne va un pezzo di storia di molti, molte di noi.
Vogliamo ricordarla attraverso le sue parole, con l'ultimo discorso da lei pronunciato nella sua ultima apparizione "pubblica", al seminario di Bibliolavoro "Donne Lavoro Sindacato", tenutosi a Milano il 18 novembre 2008.
Un discorso molto attuale nel quale Carla, con la sua schiettezza e concretezza ci invitava a essere propositive e determinate a fare proposte e progetti perché, come Carla diceva, "siamo convinte che in questa situazione avere più donne è una questione fondamentale per la democrazia".
Ho scritto il mio intervento perché gli argomenti che tornano alla mente sono tanti, e se lascio libero il mio “chiacchierare” rischiamo di essere ancora qui dopodomani. Spero che il leggere i miei appunti non vi annoi, cercherò di farlo nel miglior modo possibile.
Inizierò la mia testimonianza sul periodo del coordinamento femminile parlando della mia “provenienza” sindacale: non avevo militato nel movimento delle donne e non conoscevo questi temi, se non genericamente; provenivo dal Sinascel, sindacato scuola della Cisl, dove peraltro la maggior parte delle iscritte erano donne. Proprio perché eravamo quasi tutte donne, apparentemente non c’erano molti problemi, anche se la dirigenza, sia scolastica che sindacale, era prevalentemente maschile. Gli uomini erano pochi, ma quei pochi erano dirigenti.
Al Sinascel, dove ricoprivo la carica di segretaria nazionale, ad un certo punto mi avevano mi avevano “fatta fuori”, come si dice in gergo, accusandomi di essere troppo “confederale”: allora, secondo me, i sindacati del pubblico impiego avevano al loro interno una forte componente da sindacato autonomo; le rivendicazioni erano tutte interne alla categoria e non ci si metteva in un quadro “confederale”.
Ero quindi tornata in Piemonte, mia terra di origine, dove avevo iniziato l’attività sindacale nella scuola: ma, anche lì, la mia categoria non vedeva di buon occhio un mio rientro. Mi tenevano lì, a “far niente”, ma io non ero una che poteva stare con le mani in mano e allora, instancabile, andavo da Marini, dicendogli che, se non mi davano qualche cosa da fare, sarei tornata a scuola ad Alba, nel mio ruolo di direttrice: non potevo sopportare di andare tutti i giorni a Torino e non poter far nulla …. Mi pregarono di aspettare un po’, poi mi fecero la proposta di assumere la responsabilità del coordinamento donne nazionale. Come vi ho detto, non avevo nessuna esperienza di lavoro con le donne, di femminismo, di specificità di genere e dei temi che ne derivavano. Accettati. All’inizio non fui accettata bene dalle donne, mi vedevano come quella mandata lì dagli uomini per farle “rientrare nei ranghi”, mentre gli uomini mi vedevano come quella che sarebbe stata sconfitta. Non scommettevano neppure sulla mia sconfitta, la consideravano certa, al massimo era un problema di data………. Testona come sono, non mi scoraggiai e mi misi subito a lavorare. La prima cosa che feci fu girare tutta l’Italia per conoscere la situazione: dov’erano le donne della Cisl, cosa facevano, cosa volevano. A parte alcune realtà del nord, tra cui la Lombardia, altrove sembrava il deserto; non c’era niente di organizzato, certo, le donne ma erano lì, ma a dire il vero una parte delle donne della Cisl, soprattutto del sud e nel pubblico impiego, non pensava necessaria l’organizzazione delle donne, anzi la vedevano male. Il mio primo obiettivo fu quello di legittimare le donne, non le singole, ovviamente, ma le donne come soggetto organizzato dentro la Cisl. Oggi sembra una cosa facile, ma allora era un’eresia perché in molti pensavano che il problema non esisteva, le donne erano uguali agli uomini “se brave entrano negli organismi e assumono anche le dirigenze più alte”. Certo, facile a dirsi, ma poi così non succedeva, di fatto non era così perché gli uomini alleati tra di loro facevano cordata e le donne, che questa esperienza di “potere” non l’avevano, non solo non facevano cordata, ma spesso si facevano la guerra le une con le altre e talvolta, quando una arrivava un po’ più in alto, le altre la massacravano ed era finita. Questa è la storia e non c’è da stigmatizzarla o dire che non andava bene: questo era.
Occorreva inoltre far lavorare i coordinamenti sul tema principale per le donne del sindacato, cioè la contrattazione, perché nel lavoro tra le donne, nel femminismo, si affrontavano molti temi, l’affettività, il matrimonio, la coppia, il rapporto con le donne, ma il lavoro era un po’ messo da parte (non so se per formazione culturale o perché molte donne di questi movimenti, forse, non avevano bisogno di lavorare). Si discuteva molto di principi ideologici, che mi sembrava anche giusta, ma noi come sindacato dovevamo tradurli in richieste contrattuali, perché, se si affermava un principio e non lo si traduceva in risultati contrattuali, non andava bene. Forse, rimanere sui principi e premesse poteva accadere in un partito, ma in un sindacato che ha come obiettivo prioritario quello di contrattare, no!
Ripensare alla contrattazione perché nelle piattaforme del sindacato le donne erano un argomento separato (normalmente accomunato ai giovani e gli handicappati…), una sorta di appendice. Quando si parlava della contrattazione i temi erano principalmente quelli “femminili”: la maternità, i congedi parentali, mentre le altre cose non erano diverse perché senso comune era che uomini e donne erano uguali…., organizzazione del lavoro, etc
Questo passaggio lo definimmo con uno slogan “dalla protesta alla proposta”, ormai di proteste ne avevamo fatte abbastanza, bisognava entrare nel merito delle richieste, un po’ di spazi di stavano aprendo. L’altro slogan fu “dalla parità formale alle pari opportunità per tutti, a partire dalle donne”, perché la parità vera doveva assumere sia l’uguaglianza ma anche “la differenza”, che c’era sì tra uomini e donne, e non solo biologica. L’idea forte era che, a partire dalle esigenze delle donne, potevano mettersi in moto contenuti contrattuali più favorevoli all’insieme dei lavoratori, pensiamo a temi come l’orario, la flessibilità, l’ambiente di lavoro. Tenere insieme uguaglianza e differenza, considerando quest’ultima come valore e non un peso di cui bisogna farsi carico.
Furono proprio quelli gli anni in cui nacquero le prime azioni positive, arrivate in Italia da alcuni paesi europei e ancor prima dall’America, con l’idea di fondo della valorizzazione della risorsa umana. Nacquero le prime azioni positive all’Italtel, alla Lanerossi, furono anche i primi esempi di analisi organizzativa nell’impresa vista “con occhiali di genere”: per consentire alle donne di mettere in campo tutte le proprie competenze e potenzialità, occorreva capire quali erano gli ostacoli apparentemente invisibili nell’organizzazione del lavoro, nei criteri di selezione, e apportare le modifiche necessarie. Nacquero così anche i primi comitati misti (impresa e sindacati), promosse dalla contrattazione, per la realizzazione di azioni positive.
Dovendo andare velocemente, fu un’esperienza molto ricca e capimmo che occorreva anche una legge, le sperimentazioni nelle aziende erano a carattere volontario e allora occorreva promuovere una legge, non con una logica di imposizione ma di supporto: nacque la legge 125 del 1991, che superava il concetto di parità formale contenuto nella celeberrima legge di parità (903/77), a sua volta derivante da una direttiva europea. Fu un iter travagliato, ricordo in particolare alcuni interventi di Mortillaro, allora a capo di Confindustria.. Ci furono molte manifestazioni, tra cui la famosa del 1988 organizzata proprio dai Coordinamenti Donne Cgil Cisl Uil nazionali, che aveva portato in piazza centinaia di migliaia di donne. Lo slogan fu “un lavoro per tutte, un lavoro diverso, una società senza violenza”. In questa parola d’ordine stavano racchiusi i nostri contenuti: primo, non solo un lavoro, ma un lavoro che fosse anche motivo di soddisfazione e consentisse di tenere insieme famiglia e vita personale; secondo, non a tutte le forme di violenza, perché allora non esisteva ancora una legge contro la violenza sessuale e le molestie sul lavoro, oltre al fatto che il mondo era continuamente scosso da conflitti. Questo, per le donne e per il sindacato, è stato il periodo più “alto” sul tema delle pari opportunità, che diventarono un pezzo significativo nei contratti.. Capirono che era conveniente per l’impresa anche i dirigenti aziendali più avvertiti, perché se sono soddisfatta del mio lavoro produco di più.
Sul piano del lavoro delle donne cgil cisl uil, spesso, anche quando le nostre rispettive organizzazioni sono state divise, noi non abbiamo mai interrotto il lavoro unitario, tanto è vero che qualche dirigente illuminato ci diceva “fate bene, perché quando ripartirà il lavoro unitario, ma con le organizzazioni quasi vuote, voi sarete il nostro modello”.
Sulla presenza delle donne nella Cisl, tante erano le iscritte, poche le dirigenti, come del resto nelle altre organizzazioni, ma in modo particolare nella Cisl, nonostante la mole di lavoro fatto: per cultura, per tradizioni, per tante cose che posso per brevità richiamare. Ci ponemmo allora l’obiettivo di più donne negli organismi dirigenti ma in particolare nelle segreterie, perché al di là delle forme quello che conta sono le segreterie, che poi traducono in fatti concreti quello che i direttivi hanno deciso o pensano di aver deciso.
Non eravamo messe bene allora, forse anche oggi (ma questo lo dovete dire voi), proprio per questo occorreva un segnale forte. Stanche di vedere il coordinamento lavorare con poche risorse umane ed economiche, un gruppo di dieci donne del coordinamento nazionale chiese un incontro con l’allora segretario organizzativo, ma non avendo avuto nessuna soddisfazione chiese l’incontro con il Segretario generale Marini. Il soggetto aveva “l’occhio lungo” e capì che conveniva alla Cisl valorizzare al proprio interno le donne, non solo e tanto per far loro piacere, ma perché di fronte alle sfide di una nuova sindacalizzazione del lavoro femminile, visto l’aumento delle lavoratrici, occorrevano più delle donne che uomini. Nacque così, in Cisl il primo Progetto Donna, fatto con l’organizzazione, che se ne assunse responsabilità assieme al Coordinamento (del resto, senza apparato e senza soldi non avremmo concluso molto…). Lo chiamammo “dalle parole ai fatti”, ma il progetto camminava a rilento, anche perché non mancavano gli ostacoli da parte di alcuni gentiluomini ………..
Ci furono anche dei momenti “forti”, a Roma alla Conferenza delle Donne, mentre Marini parlava alcune nostre amiche, stanche di sentirlo parlare di questioni “generali”, senza entrare nel merito delle problematiche poste dal Coordinamento, fecero le bolle di sapone …..
Subito dopo la conferenza, inizia a consolidarsi il discorso delle quote, molto ostacolato dagli uomini e dire il vero non solo a loro. Ci avevamo provato in tutti i modi a far entrare le donne nei gruppi dirigenti, ma non c’era verso perché gli uomini facevano alleanza tra di loro, arrivavano ai congressi (che sono democrazia, certo, chi ha i numeri vince). Sì, ma loro si mettevano d’accordo prima, arrivavano ai congressi e dicevano: tante a te, tante a te, e poi le donne restavano fuori.
Si iniziò allora il discorso delle quote nelle liste per l’elezione ai congressi e dei consigli generali, mentre per le segreterie la rivendicazione era quella della presenza di almeno una donna, ma senza quote obbligatorie. Mi sembra che le cose non siano oggi molto cambiate, per quello che conosco oggi del sindacato, mentre oggi nel lavoro, nelle imprese e nella società le cose sono andate molto più avanti. Nel sindacato e nei partiti le cose mi sembrano più ferme, io dico sempre che ci sono tre organizzazioni che sono nemiche delle donne: i sindacati, i partiti e la chiesa.
Allora cosa fare? Penso che tocchi a voi rispondere, noi allora abbiamo fatto qualcosa, abbiamo fatto la nostra parte, anche nei momenti difficili siamo andate avanti. Non abbiamo mai combattuto le nostre battaglie per favorire ambizioni personali, ma sapevamo che favorendo le donne si favoriva l’organizzazione, essendo peraltro il mondo del lavoro sempre più femminilizzato. Anche se l’organizzazione è migliorata, guardate che chi ha il potere se lo tiene, e credo che se l’avessimo noi donne faremmo altrettanto. Il potere non si regala, si conquista e allora oggi come allora occorre avere obiettivi chiari, non basta fare la guerra e il rivendicazionismo, sono passati quei tempi, che cosa vogliamo oggi? Fare proposte e progetti, farli diventare vincenti costruendo le alleanze. Senza fare la guerra, ma anche senza essere e accondiscendenti. Perché questa era la richiesta che sotto sotto ci facevano: o il rivendicazionismo sterile o accondiscendere, buone come pecorelle. C’è però una terza via, quella di darsi alcuni obiettivi prioritari e chiari (non troppi !) e poi perseguirli con determinazione perché, come dicevo prima, farle perché l’esperienza dimostra che sul piano del potere nessuno regala niente, ivi comprese le donne molte delle quali, diciamocelo, quando sono al potere sono le prime nemiche delle donne.
Se oggi dunque avvertiamo e siamo convinte che in questa situazione avere più donne è una questione fondamentale per la democrazia, bisogna che le donne si diano da fare, nessuno ci regala niente e credo sia forse inutile che ve lo ricordi, perché lo sapete tutte quante.