Le aziende vedono nelle persone "over quaranta" dei "pesi" per i quali sono costrette a versare allo Stato contributi onerosi, dove le stesse imprese chiedono a questi "troppo adulti" di essere sempre più performanti e sostenere mansioni le più diverse.
Ci penso sempre più spesso, soprattutto mentre torno a casa dal lavoro, in macchina o coi mezzi, poco importa. Penso, cioè, che ho quasi cinquant'anni, che ho passato cinque lustri a studiare, a prepararmi per inserirmi nel mondo sociale prima e in quello lavorativo poi. Eppure, nel mio quasi decimo lustro, ciò non basta più. Lo chiedono le aziende che vedono nelle persone "over quaranta" dei "pesi" per i quali sono costrette a versare allo Stato contributi onerosi, ma dove le stesse imprese chiedono a questi "troppo adulti" di essere sempre più performanti, sostenere mansioni le più diverse, a parità di stipendio, e soprattutto durevoli nel tempo per l'allungamento dell'età pensionistica. Ma lo chiede anche la società moderna che vede nei miei coetanei la stanzialità di un posto di lavoro che pare congelato nel cambio generazionale e in cui un giovane si augura di poter subentrare nel minor tempo possibile, in una sorta di killeraggio socio-occupazionale.
L'AUMENTO DEI NEET
Ho letto che nel 2015, i vecchi raggiungeranno i giovani in termini di densità demografica. Che è un po' come dire che la società non possa sussistere gli uni senza gli altri. È una specie di pareggio di bilancio statale in cui le "entrate" (cioè i vecchi) e che diventano i "veri garanti" quando lo Stato deve "far cassa" nell'attribuire loro nuove tasse, vanno a sanare le "uscite" (cioè i giovani) che per le famiglie a cui sono in carico rimangono un costante costo sociale. Ma sappiamo bene che questo è solo una parte dell'aspetto sociale. Sono infatti in aumento i "Neet" (acronimo dall’inglese "Not (engaged) in Education, Employment or Training), che significa quei giovani che né studiano, né cercano, né provano e né trovano lavoro. Questo è un dato avvilente dal punto di vista etico per la società, perché quelli che sono i giovani di oggi, se privati di ogni possibilità, saranno degli adulti labili e fragili che non avranno nemmeno la capacità di difendere e rappresentare i propri bisogni e valori, diventando facile preda di chiunque voglia sfruttarli, manipolarli, usarli.
Questa deve essere la vera "mission" di una persona come me, della mia età, che quando lavora o agisce per il Sindacato, deve avere costantemente davanti: riscattare cioè attraverso la rappresentanza e la difesa sociale questa sorta di ignavia, di collasso intellettuale, che pare oramai prevalere nel nostro Paese. È attraverso l'analisi dei bisogni, dei disagi, delle ineguaglianze sociali e lavorative che - credo fermamente - il Sindacato possa compiere pervicacemente azioni di contrasto all'arretratezza, alla stagnazione in cui l'Italia non può né deve giacere.