Pubblichiamo un articolo (in due parti) di Rosalba Gerli, psicologa e psicoterapeuta, responsabile dello Sportello Disagio lavorativo e Mobbing di Cisl Milano Metropoli.
Donne dagli occhi grandi è il titolo di un romanzo di Angeles Mastretta (1990), scrittrice sudamericana che narra storie epiche di figure femminili che eroicamente combattevano contro i pregiudizi, per essere se stesse e vivere la propria vita secondo i propri desideri e sogni, facendone un atto d’amore, di passione e di ideali sociali. Nel testo la scrittrice, attraverso una serie di racconti, richiama le antenate della propria famiglia. Quando, infatti, la figlia minore della scrittrice si ammalò, seduta accanto alla piccola all’ospedale iniziò a raccontarle le storie di diverse figure femminili della famiglia che erano state importanti in momenti critici della sua vita perché “avevano deciso del proprio destino” e nacque così l’ispirazione per la scrittura del libro.
Le figure raccontate da Angeles Mastretta, nei suoi romanzi, sono quelle di donne che nei secoli scorsi hanno sfidato i pregiudizi di un’epoca cimentandosi nelle professioni ritenute maschili, combattendo nelle rivoluzioni che attraversavano il Sud America per combattere le disuguaglianze sociali, ma che hanno combattuto anche sul fronte delle relazioni per esprimere un’affettività al femminile e non essere sopraffatte dagli stereotipi e dalla violenza di una società maschilista. Ma “donne dagli occhi grandi” sono anche quelle che vedo ogni giorno presso il servizio psicologico per il disagio lavorativo e il mobbing della Cisl a Milano e che mi hanno riportato alla memoria il titolo dei racconti di questa scrittrice. Donne di qualsiasi età che si rivolgono al servizio per essere aiutate a ritrovare un equilibrio e superare il dolore correlato alla violenza fisica o psicologica perpetuata nei loro confronti nei luoghi di lavoro; per riprendersi la vita e avere giustizia rispetto a situazioni di discriminazione e soprusi legati al genere, trovando il coraggio di denunciare. Donne che desiderano essere protagoniste delle proprie scelte e non essere costrette nel ruolo di vittime. Questa esperienza mi porta a dire che - per quanto concerne le politiche di genere - il cammino da percorrere è ancora lungo e che nulla va mai ritenuto scontato, bisogna tenere alta la guardia e la sensibilità sui diritti, che vanno sempre esercitati, non solo dichiarati.
Ho deciso quindi di narrare alcune di queste storie, ovviamente, utilizzando dei nomi di fantasia e modificando alcuni dati riguardanti le persone in modo da garantire la riservatezza.Intendo raccontare alcuni degli aspetti del disagio lavorativo declinato al femminile cercando di descrivere un mondo che spesso rimane silente, celato, sommerso e che riguarda le discriminazioni e le molestie rivolte alle donne in quest’epoca di crisi, non solo economica, ma soprattutto dei contenuti culturali, dei fondamenti sociali e dei valori umani che necessita della capacità di ricominciare a pensare criticamente, in modo costruttivo.
Inizierò pertanto dalle drammatiche vicende di donne discriminate o escluse per aver fatto una scelta di matrimonio o di maternità.
1 - Dal matrimonio alla maternità: storie di donne discriminate ed escluse
Giovanna, 30 anni, è una giovane madre che è stata vessata per tutto il periodo della sua gravidanza dal datore di lavoro che non le ha perdonato di aver cercato la gioia della maternità dopo aver guadagnato il tanto agognato “contratto a tempo indeterminato”.
Giovanna ha dovuto affrontare una gravidanza a rischio, ma fino al quinto mese è stata costretta a recarsi sul luogo di lavoro, vessata perché non si assentasse, minacciata di licenziamento fino al momento del parto avvenuto al settimo mese. Per tutto il periodo della gravidanza Giovanna racconta di essere stata in ansia per la salute del suo bambino e che per questo si toccava continuamente il ventre alla ricerca di segnali che la tranquillizzassero circa la sua vitalità e benessere, sentendosi colpevole e inadeguata rispetto a ciò che le stava accadendo. Si sentiva colpevole e inadeguata sia nei confronti dell’azienda, sia verso il figlio.Durante il periodo di assenza per maternità il suo datore di lavoro la contattava e la convocava per comunicarle che per lei non ci sarebbe stato più un futuro in azienda e che al compimento dell’anno l’avrebbe licenziata, come la legge consente. Al suo rientro, infatti, Giovanna non ha più trovato la sua postazione di lavoro, è stata isolata, ignorata, costretta all’inattività oppure a svolgere talvolta qualche mansione inferiore alle sue competenze in attesa del licenziamento, che le viene continuamente ribadito, mentre al suo posto è stata inserita un’altra persona. La stessa sorte è toccata a Federica, che subito dopo l’università era diventata il delfino di una piccola agenzia di comunicazione, ma che all’annuncio della sua gravidanza è stata vessata e perseguitata in mille modi dalla sua superiore, una donna completamente dedicata alla carriera che sembra non aver concepito la scelta di Federica, tanto da averla vissuta come un tradimento personale o chissà… ci sono molti studi che indicano gli effetti devastanti causati dall’invidia al lavoro. Federica non ha retto la pressione psicologica che si verificava anche con azioni che invadevano la sua vita privata perciò ha sviluppato un quadro sintomatologico misto di ansia e depressione ed è stata costretta ad assentarsi dal lavoro sino alla nascita del bambino. Successivamente, al rientro dalla maternità che ha coinciso con il compimento dell’anno del figlio, è stata prontamente licenziata. E come Giovanna e Federica, anche altre donne, purtroppo, si sono rivolte allo sportello per chiedere aiuto in seguito a simili situazioni di discriminazione e violenza. A settimana prossima, con altre due storie di.. donne dagli occhi grandi!