Il jazzista famoso all’estero pubblica Sun, un album dove si cimenta per la prima volta con la lingua italiana. L’abbiamo incontrato.
Come Zucchero negli anni 80, Mario Biondi nei 2000 sta facendo passi da gigante nel panorama musicale internazionale. Ha appena pubblicato un lungo album intitolato Sun (Sony) e ha chiamato il meglio della produzione soul e black di tutto il mondo. C’è Blusey degli inglesi Incognito, che inventarono un nuovo jazz negli anni 90, Al Jarreau, Ronnie Johnson, famoso chitarrista emerso nell’ondata dance anni 70.
Come ci si sente a essere considerato icona musicale all’estero?
Ho iniziato grazie a una stazione radiofonica americana, ma ho fatto tanto piano bar in Italia prima di incidere dischi. Mi sento orgoglioso di poter fare dei dischi nuovi, di poter evolvere con la mia musica, sono tutte esperienze positive. Ho lavorato con produzioni indipendenti, mi sono avvicinato al concetto di musica “libera” dalle interferenze del mercato grazie a Renato Zero. Ma oggi ho scelto di lanciare il nuovo disco Sun con una corporation che ha ramificazioni internazionali per poter fare davvero un prodotto che possa essere ascoltato ovunque.
Sei siciliano ma lavori in giro per il mondo da anni. Cosa ricordi di queste esperienze?
La più recente, quella con Al Jarreau che ho incontrato a un concerto in Vaticano, è stata una delle più esaltanti. Gli ho chiesto semplicemente se voleva far sì che il mio sogno si avverasse, ovvero incidere con lui un pezzo. Lui mi ha definito Big Voice e sono stato onorato di essere andato a casa sua a Los Angeles.
Al Jarreau ha vinto premi in molte categorie diverse della musica: jazz, pop. Come definiresti la tua?
C’è una formazione molto jazz ovviamente, ma mi piacciono anche molto le cose nuove della dance, ho sempre un radar attivato nelle nuove proposte che emergono. Viaggio molto e questo aiuta parecchio la ricerca di voci nuove, sonorità. Ho solo il rimpianto di non aver potuto incontrare personaggi mitici che non ci sono più, come Whitney Houston.
Nel disco c’è il tuo primo vero brano italiano, La Voglia La Pazzia L’idea.
L’ho scritta di ritorno da un viaggio a Lampedusa e l’ho registrata assieme a The Italian Jazz Players. Ora ci ho preso gusto e vorrei reinterpretare alcuni brani della storia della musica italiana a modo mio.
Molti dicono che sei tu l’erede di Barry White. Concordi?
No, l’unico ad andargli vicino oggi è il cantante americano Cunnie Williams. Io umilmente mi ispiro.