L'ultima ricerca di Save the Children lancia l'allarme sulla difficoltà delle madri di tenersi il lavoro alla prima maternità: il 45% lo abbandona alla nascita del primo figlio.
“Mamme, in due anni 800 mila licenziate” “Boom di madri costrette ad abbandonare il lavoro”, questi sono solo due dei titoli che imperversavano sui giornali nazionali la scorsa settimana dopo la diffusione dei dati di una ricerca realizzata da “Save the children” . Il rapporto di ricerca evidenzia la difficoltà delle madri a mantenere il posto di lavoro ed elenca le gravi conseguenze che subiscono loro stesse in prima persona ma che poi si ripercuotono sull’intera famiglia rendendola più povera. E questo accade in particolare in quei nuclei familiari in cui ci sono figli minori e proprio nel momento in cui, in virtù della presenza di bambini, il fabbisogno economico della famiglia aumenta. La ricerca di Save the children ci dice che il 45% lascia il lavoro alla nascita del primo figlio e che la motivazione è la mancanza di politiche di flessibilità a favore della famiglia che deve essere accompagnata sia dall’offerta di servizi sociali sul territorio che dalla collaborazione nei rapporti famigliari. E allora ci fa piacere pubblicare questo articolo di Maddalena Acquaviti di due casi di maternità a rischio di “lavoro” che descrivono benissimo le motivazioni della stragrande maggioranza delle 800.000 mamme denunciate dalla ricerca che hanno lasciato il lavoro.
CASI REALI
Devo proprio dirlo, oggi mi sono davvero arrabbiata. Incontro un collega alle macchinette del caffè e, come sempre, si parla del più e del meno.
Gli chiedo: “Come va?”. Mi risponde che, insomma, non va benissimo. Mi racconta che sono un po’ in ristrettezze perchè sua moglie è rimasta senza lavoro. Molto dispiaciuta gli chiedo come mai, se l’hanno licenziata o cos’altro sia successo. Mi spiega che non l’hanno licenziata ma in qualche modo l’hanno costretta a lasciare il lavoro. Mi faccio raccontare una storia che, poi scopro, somiglia a molte altre già sentite.
Hanno avuto una bambina quasi un anno fa, gravidanza difficile e maternità anticipata per lei. Al rientro in ufficio la sorpresa; spostamento di sede a circa 30 chilometri di distanza dalla precedente che invece era più vicina a casa. 30 km in una città come Milano e per una neomamma non è una cosa da poco. Anzi, diciamo che può cambiarti la vita. Ha provato a chiedere il part-time e, come in molte altre storie simili, gliel’hanno rifiutato.
Il mio collega e sua moglie si sono rivolti alla consigliera di Parità che era pronta a sostenerli ma la neomamma non se l’è sentita di portare avanti una causa di lavoro con chissà quali esiti. Hanno provato a cercare una babysitter ma, facendo due calcoli, ci rimettevano un intero stipendio.
Alla fine lei ha deciso che non aveva altra scelta e ha lasciato il lavoro ma l’azienda molto gentile le ha detto che per lei le porte saranno aperte se e quando fra qualche anno vorrà tornare. Chissà perchè quelle porte non erano altrettanto aperte per concederle un part-time. Misteri dell’organizzazione del lavoro. Quante volte l’avete sentita una storia così? Io tante, troppe. Mi sono molto arrabbiata. Chiaramente mi sono arrabbiata con questa azienda e con tutte quelle che rendono la vita impossibile alle neomamme costringendole spesso alle dimissioni. Tante, troppe. Ma sono arrabbiata anche con la moglie del mio collega. Si, arrabbiata. Non voglio giudicare le scelte altrui; me ne guarderei bene. Capisco che sia faticoso imbarcarsi in una causa, sia economicamente che mentalmente. E che la concliazione dei tempi ha spesso un costo motlo alto, sia economicamente che mentalmente. Lo so perchè sono una madre lavoratrice anche io. Ma prima di arrivare all’estrema decisione di lasciare il lavoro bisognerebbe provare a percorrere tutte le strade e qualcuna ce n’è. Perchè poi i bambini crescono ma il lavoro non si trova più per moltissime donne. E in tempi di crisi come questi in cui è più difficile rientrare, la stabilità economica della famiglia è garantita sicuramente più da due stipendi che da uno anche se poi uno dei due finisce in nidi e baby sitter.
Un altro collega giorni fa mi ha raccontato una storia simile. Sua moglie, mamma da due anni, non ce la fa più. E’ sempre di corsa e stressata. Vuole lasciare il lavoro. A lui consiglio di dirle di resistere, come in una guerra, perchè certe volte questo è: una guerra in cui tu lavoratrice non sei certo la parte più forte. Mi chiede cosa potrebbe fare visto che ovviamente nemmeno a lei hanno voluto dare il part-time.
Gli ricordo, per esempio, che potrebbe provare a chiedere l’aspettativa. Certo non è retribuita ma almeno è un anno per pensarci, per recuperare energie, per capire cosa fare. E poi l’illuminazione. “Ma tua moglie ha usufruito della maternità facoltativa?” (i famosi congedi parentali al 30%). Mi dice di no. E allora gli suggerisco di dirle di prendersi quei 6 mesi. Il bambino ha due anni quindi è ancora in tempo per utilizzarli, potrebbe fino al compimento degli 8. Molte famiglie si dimenticano di quei mesi che non hanno utilizzato per ragioni economiche e talvolta vengono buttati via.
Sei mesi non sono tanti ma possono essere un tempo sufficiente per chiarirsi le idee e cercare nuove soluzioni. E nessuno può rifiutarli. Sono un diritto garantito per legge. Quella mamma per adesso ha ancora un lavoro. Insomma, le alternative alle dimissioni ci sono. Non sempre e non tutte hanno questa possibilità, lo so. In Italia lo scandalo delle dimissioni firmate in bianco da tirar fuori al momento opportuno,per l’azienda, è ancora una pratica indecentemente presente. Ma bisogna provare a scandagliare ogni possibilità che la legge offre, possibilità che spesso non conosciamo o a cui non pensiamo. Facciamoci aiutare dal rappresentante sindacale aziendale che è lì non solo per le trattative, ma anche per aprire uno spiraglio dove ci sfugge che possa essercene uno.