ROMANZO
Riccardo e quella notte da ricordare

Arturo Cattaneo, docente di letteratura  inglese alla Cattolica, racconta la storia di uno studente italiano di fine  anni '70 a Cambridge. Quello che maggiormente colpisce tra i giovani di allora e quelli di oggi è la mancanza di 'contrasto generazionale'.

Cambridge, Inghilterra.  Riccardo, studente italiano di 19 anni, si sta preparando a uno degli eventi più importanti della vita universitaria: il Society Night Dinner. Sarà una notte da ricordare, piena di incontri e  di sorprese. Arturo Cattaneo è docente di Letteratura inglese presso l’Università Cattolica di Milano.

Dovendo presentare il suo romanzo, “La notte inglese”, come lo descriverebbe?

Come la notte magica di un gruppo di giovani, provenienti da ogni parte del mondo, in un college di Cambridge, una sera d'estate. L'occasione che li riunisce è il Society Night Dinner, una cena di gala in cui l'ufficialità cede via via il passo, con l'avanzare della notte e lo scorrere dell'alcol, a un carnevale che annulla gerarchie e rituali, in un girotondo di incontri, amori, odii, sorprese. E' una notte in cui accade quello che non ci aspetta, specie in amore, o accade in modo diverso da come lo si era sempre sognato. Il tipo di notte che tutti abbiamo avuto, almeno una volta nella vita, o che ci piacerebbe aver avuto.

Il Society Night Dinner, tra alcol, sesso, amore, voglia di trasgressione, sembra un rito di iniziazione… Lo fanno ancora oggi?

Indubbiamente sì. In genere oggi lo si fa prima, rispetto ai vent'anni circa dei protagonisti del romanzo, e probabilmente con meno sensi di colpa o consapevolezza di un contrasto generazionale. Ma l'iniziazione alla vita adulta è una porta attraverso cui i giovani continuano a passare, anche oggi. Devo dire che la cosa che più mi ha colpito e fatto piacere, dopo l'uscita del libro, è che i lettori più entusiasti sono stati proprio i giovani, anche i teenager. Molti me l'hanno scritto, o detto, direttamente, ma anche sui blog e in rete ne hanno parlato. Evidentemente, se certi aspetti psicologici e comportamentali del libro appartengono alla mia generazione, di fronte alle prove d'iniziazione della vita le paure e le incertezze dei giovani rimangono uguali.

Il libro è ambientato alla fine degli anni ’70. Lei è un docente universitario e conosce bene i giovani. Cosa è cambiato da allora e cosa è rimasto uguale a oggi nei sentimenti e nei modi di vivere i 20 anni?

La cosa che più colpisce, rispetto al passato, è la mancanza apparente di contrasto generazionale. "Chiunque abbia più di trent'anni è un nemico": era lo slogan degli anni '60 e '70. Estremo e riduttivo come tutti gli slogan, ma rende bene l'dea. Oggi la famiglia e gli adulti non sono più sentiti come un problema, perlomeno nel senso che certe cose non c'è più bisogno di conquistarle: uscire la sera, stare fuori fino a tardi, sentire la musica ad alto volume, far accettare ai genitori  il fidanzato o la fidanzata, passarci le vacanze o il weekend insieme. Forse perché la porta in questa direzione è già stata sfondata, proprio negli anni '60 e '70. Detto questo, i sentimenti, i dubbi e le paure sono gli stessi di un tempo, solo più difficili da riconoscere perché nascosti da un'apparente sicurezza e da un'educazione iperprotettiva. Riguardo a quest’ultima, nella mia esperienza di insegnante ho invece trovato che i ragazzi apprezzano molto quando sono trattati senza troppe indulgenze, come giovani adulti e non come eterni bambini.

Quali differenze ci sono tra i giovani italiani e inglesi?

Le stesse che ci sono tra gli italiani e gli inglesi adulti, è la risposta più immediata. Le stesse che esistono tra il nostro paese e un altro in cui la sensibilità sociale è fortissima, e il rispetto per l'individuo è enormemente maggiore che da noi. Fin dalle piccole cose, le più rivelatrici: il poliziotto o il pubblico ufficiale o l'addetto di qualsiasi ufficio o banca si rivolgono subito all'interlocutore chiamandolo "Sir" o "Madam"; i ragazzi a scuola indossano una divisa, il che li mette tutti sullo stesso piano. Purtroppo, una grande differenza è data oggi anche dalle diverse possibilità di lavoro che Italia e Inghilterra offrono. Molti dei miei studenti migliori vanno ogni anno a perfezionarsi in Inghilterra o in Scozia, e soprattutto trovano lavoro là. Quando tornano mi dicono: "Lì ho dovuto solo fare una domanda e sostenere un colloquio. Non mi hanno chiesto chi conoscevo, non servivano raccomandazioni, rispondevano sempre alle mail e alle telefonate, e il contratto che alla fine mi hanno offerto era un contratto vero, non un rimborso spese mascherato". Non è facile rispondere.

Voglio aggiungere che, rispetto al passato, la globalizzazione ha ridotto di molto la distanza culturale, direi antropologica, tra i giovani italiani e gli inglesi. Fino agli anni '80, andare a studiare o a lavorare in Inghilterra voleva dire entrare in un mondo completamente diverso, e lontano: non esistevano cellulari, la rete, skipe. Oggi i ragazzi italiani e gli inglesi crescono con le stesse immagini, gli stessi film, le stesse canzoni, gli stessi format televisivi, lo stesso genere di abbigliamento. E questo fa una differenza.

Un punto in comune, in negativo, sembra essere l’abuso di alcol. O no?

Ne La notte inglese l'alcol scandisce i tempi del racconto, o della notte, che poi è lo stesso visto che il libro ha una forte impronta teatrale o cinematografica: accade tutto dal tardo pomeriggio alla mattina dopo, secondo la progressione alcolica prevista dal rituale della cena di gala: “Sherry”, “Red Wine”, “Port and Madeira”, “High Spirits”, fino al capitolo finale, “Milk”, quando la notte magica scivola in un mattino caliginoso e alla tavola del breakfast Riccardo, il ragazzo italiano protagonista della storia, s'interroga sulla domanda di tutta una vita: che cosa cambia con l'amore? La progressione alcolica è reale secondo lo svolgimento di questo tipo di cene, anche se ovviamente trasfigurata ed esaltata nel racconto, e mi è servita a dare una struttura alla sarabanda di avvenimenti della notte d'estate. Ma è indubbio che il consumo d'alcol sia una degli aspetti più tipici dello stile di vita anglosassone, inglese come americano: l'immagine di tanti film, dei protagonisti che appena rientrati a casa aprono il frigo per prendersi una birra, o si versano un whiskey, è indicativa. Per l'italiano che andava in Inghilterra era una sorpresa, una sorta di rito d'iniziazione attraverso cui bisognava passare, se si voleva entrare nella mentalità e nella lingua inglese: le conversazioni migliori, le espressioni idiomatiche più colorite venivano in gran parte dai pub, o dai party in casa d’amici. Oggi, anche questo è cambiato: i ragazzi italiani bevono tanto quanto gli inglesi, e le statistiche ci dicono che siamo tra i maggiori consumatori di birra al mondo. In compenso, gli inglesi bevono molto più vino di una volta.

Il teatro del romanzo è Cambridge:  com’è oggi la realtà di un college inglese?

Piuttosto simile a quella descritta nel mio romanzo, invenzioni narrative a parte. Soprattutto a Cambridge e a Oxford, dove le tradizioni contano ancora molto. La differenza maggiore, rispetto a trent'anni fa, è che la maggior parte dei college oggi sono misti, uomini e donne, e non più solo maschili. I college rimangono sempre un luogo ideale in cui studiare e imparare a convivere con gli altri. Per un giovane, significa anche staccarsi dalla protezione della famiglia e diventare adulto.

Cosa può insegnare, ammesso che possa farlo, il sistema universitario inglese a quello italiano?

La risposta è in parte nelle risposte precedenti: l'Inghilterra non è un paradiso, ma è certamente un paese che pensa in senso sociale prima che individuale, e in cui la scuola e l'università sono ritenute realmente fondamentali, e non solo a parole, dalle famiglie prima ancora che dalla politica. L'università inglese potrebbe insegnarci molte cose. Ne dico un paio, cose che lì effettivamente accadono: per ogni riforma universitaria andrebbero consultati preventivamente i docenti, oltretutto grazie alle mail e all'informatica oggi non ci vorrebbe molto; e l'insegnamento frontale impartito dal docente a centinaia di studenti passivi andrebbe sostituito con classi più piccole con obbligo di frequenza per gli studenti.

Lei consiglierebbe a un giovane italiano di fare delle esperienze di studio e/o lavoro all’estero?

Certamente sì. Purtroppo, più che un consiglio sta diventando una via di fuga quasi obbligata per molti studenti italiani, spesso i migliori, in assenza di una vera politica di occupazione giovanile in Italia. Che poi la via di fuga possa rivelarsi proficua e piacevole, come per i protagonisti italiani de La notte inglese , è un altro discorso.

La notte inglese

Arturo Cattaneo

Mondadori, 2012

17 euro

26/09/2012
Mauro Cereda - mauro.cereda@cisl.it
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