Cosa succede quando si viene licenziate a 60 anni: niente trattamenti pensionistici e impossibilità di essere nuovamente assunte...
In questi giorni sono usciti dati drammatici sulla disoccupazione giovanile (quasi al 35%) e fra non molto si evidenzieranno anche i dati drammatici della disoccupazione delle lavoratrici e dei lavoratori, ancora in età lavorativa, ma avanti con quella anagrafica, che avranno la caratteristica dell’inoccupabilità. Infatti, la riforma delle pensioni voluta da governo Monti, sta creando molte difficoltà non solo agli “esodati”, ma anche in moltissime altre famiglie dove persone in età avanzata hanno perso il posto di lavoro e non sono più rioccupabili. Una non rioccupabilità dovuta sia per l’effetto della crisi che riduce i posti di lavoro, ma anche e soprattutto per le nuove leggi, che decretano un allungamento dell’età per il raggiungimento al diritto alla pensione.
La protesta, fatta dal sindacato, che la riforma delle pensioni se pur necessaria per l’allungamento della vita delle persone, avrebbe dovuto essere accompagnata da strumenti di sostegno e di garanzia di queste lavoratrici e questi lavoratori in età di lavoro avanzata, trova nel racconto di queste due ex lavoratrici la loro conferma più significativa e fa emerge il fatto che il numero dei lavoratori e delle lavoratrici in età avanzata, ma ancora "abili al lavoro" è ben più ampio di quello denunciato per gli “esodati” e forse più drammatico, in quanto vissuto spesso come dramma della persona e della famiglia.
Presentiamo due casi, storie di donne in grave difficoltà, che dimostrano ancora una volta la drammaticità del problema che hanno le persone che hanno lavorato una vita e che poi da un giorno all’altro, senza nessuna colpa, si trovano senza lavoro e senza nemmeno la possibilità della rendita pensionistica che permetta loro una vita dignitosa...
Isabella
Non sono neanche un'esodata, mi hanno solo licenziato. Ho cominciato nel 1971, un anno dopo la maturità, dieci anni in una grande casa editrice poi mi sono licenziata e sono andata all'estero. Ho lavorato in quell'estero, dove non esistevano assunzioni e contributi, poi sono tornata. Ho aperto una partita Iva e ho fatto la libera professionista fatturando sempre tutto, lavorando in proprio e collaborando per case editrici. Non esistevano Co.co.co, Co.co.pro e tutte le siglette in voga oggi. Il versamento dei contributi non era obbligatorio e la contribuzione volontaria mi sarebbe costata troppo, non guadagnavo abbastanza per potere dare all'Inps quello che chiedeva. Nel 1991 sono stata assunta da una piccola casa editrice, l'azienda ha cambiato nome 4 volte, ogni tanto qualcuno ci comprava, sembravamo calciatori ma senza i loro ingaggi, diventavamo sempre piu grandi, abbiamo però sempre conservato mansioni e anzianità. L'ultima grande casa editrice ci ha venduto nel gennaio 2010 come ramo d'azienda: 11 lavoratori e tre giornali. La nuova azienda, nata in occasione dell'acquisto, ha lincenziato me e una collega nell'ottobre dello stesso anno, per soppressione del reparto. Oggi sono rimasti forse in 3/4, qualcuno se ne è andato, qualcuno eliminato: il lavoro si fa fare all'esterno. Come ultracinquantenne dall'Inps ho ricevuto un anno di disoccupazione dal febbraio 2011 al febbraio 2012. Quando sono stata licenziata confidavo nelle regole di allora per avere la pensione a 62 anni, tirando la cinghia per quattro anni ci potevo arrivare. Ho cercato e cerco lavoro, ho appena compiuto 60 anni, ma chi volete che mi prenda! I miei contributi sono di 30,9807692 anni che non servono a niente (ma cosa saranno mai quei decimali?) ma io di soldi per trent'anni gliene ho dati e tanti: nel sito Inps dal calcolo presunto risulta una pensione da 2.122 euro! Il mio paese oggi mi dice che avrò la pensione nel 2019, fra sette anni. La lotta sindacale in luglio ha ottenuto qualcosa per alcuni ma io, con tanti altri, non ho i requisiti richiesti. Senza lavoro e senza pensione come faccio a vivere per sette anni? Sono cosciente del dramma della disoccupazione dei giovani, la "generazione persa", ma la mia generazione è "buttata via" neanche la possibilità di andare a scaricare cassette all'ortomercato, non ce la facciamo, siamo vecchi e in futuro non ringiovaniremo di certo! Un classico: troppo vecchia per lavorare e troppo giovane per la pensione e allora?
Silvia
Sono del 1952, maggio, 18. Come Papa Wojtyla. Sono anche un Drago nell’oroscopo cinese. Tutte buone premesse per poter pianificare la guadagnata pensione nel 2013. E invece mi sbagliavo. Non tenevo conto del fatto che ogni Legge può essere cambiata. Di punto in bianco. E così adesso la pensione, se il legislatore non si ravvede, prevede che la pensione la percepirò nel gennaio 2018. Noi siamo in agosto del 2012: 5 anni e 5 mesi.
Nell’ottobre del 2003, l’Azienda per cui lavoravo fa un'acquisizione di ramo d’azienda e il nuovo management pensa bene di licenziarmi. Sento i sindacati, l’avvocato, gli amici; faccio i miei calcoli e penso che, avendo 51 anni un altro lavoro lo troverò, così da tirare sino al 2012 (sì perché non era ancora uscita la legge che faceva slittare di un anno il diritto alla pensione…) e accetto in Assolombarda una conciliazione. Faccio successivamente domanda per la contribuzione volontaria e vengo accettata. Peccato che, fatto un calcolo “attuariale”, la cifra che dovrei sborsare è spropositata e per me insostenibile. Decido pertanto che non verserò i contributi: non me lo posso permettere e nessuno mi garantisce che sarò così fortunata da arrivare a godere la pensione sino a tarda età. Lo Stato, più ottimista, invece questi calcoli li fa.
Mi do' da fare e finalmente trovo da lavorare con un contratto a progetto da fine 2005 a fine 2008. Un lavoro regolare, così come vuole lo Stato che aborrisce il lavoro in nero e da la caccia agli evasori. Peccato che:
1) Aver lavorato, anche se a progetto e quindi con gestione separata parasubordinati, mi torna contro. NON posso rientrare nelle deroghe previste dalla legge. La correttezza, la buona volontà, l’impegno NON pagano. Meglio se fossi stata sul balcone in mutande in attesa di un miracolo: Superenalotto, Totocalcio, ecc.
2) Stessa cosa per non aver pagato almeno una rata della contribuzione volontaria. Non importa se il pagamento di un’unica singola rata sarebbe stato, a mio avviso (ma non secondo i nostri legislatori), un atto inconsulto, uno spreco di danaro. Il buon senso non paga e neppure la matematica. Ma forse il nostro Stato è abituato a gente che sottoscrive mutui, cambiali, rate per beni che, se facesse un semplice conto si accorgerebbe che non arriverà mai a poter pagare in toto, ma che versa le prime rate per poi trovarsi l’Ufficiale Giudiziario sulla porta o che è costretta a rivolgersi all’usuraio.
Oggi all’INPS dove sono stata per vedermi confermare la fatidica data del gennaio 2018, mi hanno assicurato che, se troverò un lavoro con regolare contratto, non devrò più temere che, un domani, ciò mi torni contro. La mia situazione è congelata a oggi e nulla potrà posticipare oltre il gennaio 2018 la mia pensione. Ma se facessero una nuova legge? Che faccio? Devo pur vivere e anche se l’attuale mercato del lavoro ha poche offerte - e per le sessantenni ancor meno -, mi cercherò un lavoro. Ho cinque anni e mezzo davanti. Spero nella salute. Nello Stato non ci spero più.