Arrivata dal Portogallo "con una valigia carica di progetti e speranze" ora è il punto di riferimnto dell'Ufficio artigianato e dell'associazione 'Piccola e Bella " della Cisl di Milano.
Ho conosciuto Elvira Goncalves Ferreira (portoghese di nascita) durante un corso a Erba organizzato qualche anno fa dall’Ust della Cisl Milano. Era un corso di quelli residenziali, dove parlando con più consapevolezza di “Politiche di Genere” si iniziava a creare in modo più strutturato, all’interno dell’organizzazione sindacale territoriale prima e nazionale poi, un percorso di consolidamento “al femminile” nei quadri, nelle segreterie, tra le operatrici. Mi ricordo le giornate piene di sole e il suo sorriso nello stringermi la mano, presentandosi. Non sono molte le persone che sorridono verso un volto nuovo, ma con lei è stato tutto semplice: ridere, fare gioco di squadra durante le esercitazioni, dividere un pezzetto di pane nei pranzi e nelle cene, imparare qualcosa da lei, dietro la sua timidezza narrativa, che andasse al di là del suo volto e della formalità del caso.
Elvira, da dove nasce la tua prima esperienza di solidarietà? Forse un insegnamento, un incontro, una lettura o un evento importante che ti ha particolarmente formato?
Tutto ebbe inizio quando avevo 17 anni: ho iniziato a lavorare per aiutare i miei genitori. Ho continuato a studiare alla sera; finita la scuola superiore ho superato anche l’esame per l’Università. Nel frattempo, essendo una giovane lavoratrice, ho conosciuto un’associazione, la GIOC (Gioventù operaia cristiana), dove avevo iniziato un percorso bellissimo di crescita personale educativa e formativa che mi ha dato tanto, per cui al momento della scelta dell’università mi hanno proposto di fare la dirigente nazionale della GIOC del Portogallo a tempo pieno e mi sono “buttata” in questa nuova sfida…Dopo tutto quello che avevo ricevuto, era arrivata la mia ora di dare… Sono stati anni importantissimi per me, la GIOC ha cambiato la mia vita…
Quando sei approdata alla Cisl e, conseguentemente, alla “Piccola è bella”?
R.: Parlare della mia esperienza in Cisl è parlare del “sogno di un lavoro”: la speranza per qualsiasi migrante arrivato in Italia. Dopo aver sposato un giovane lavoratore della GIOC italiana , siamo approdati a Milano con una valigia piena di progetti e speranze, ma non immaginavamo quanto sarebbe difficile per noi questa città…
Invece il progetto dell’Ufficio artigianato è nato dal sogno di altre persone della Cisl. Sono stati anni durissimi: per la mia timidezza, la lingua per me nuova, una nuova città, un’organizzazione che mi accoglieva ma in cui mi inserivo, dove mi recavo a lavorare per la prima volta. Poi, dopo le dimissioni del responsabile dell’Ufficio artigianato, dovetti ri-organizzare quasi dal niente questo settore perennemente in crisi occupazionale e imprenditoriale, e considerato dalla gente comune quasi di “nicchia” o a se stante, di cui pochi si interessano – e la Cisl lo ha fatto con me –nel tentativo di difenderlo, rappresentando i suoi lavoratori. Ma non mi sono arresa. Il progetto dell’ Ufficio artigianato è diventato anche “mio” e anche nei momento più difficili, quando tutto sembrava finire, per la stanchezza, per l’enormità delle richieste che giungevano, ecco che andavo avanti e si ricostruisce ogni volta. Lentamente. Ho cominciato a credere che continuare fosse la strada giusta da percorrere insieme a quella dei lavoratori delle imprese artigiane, indipendentemente dei risultati realizzati. Il progetto dell’Ufficio artigianato è cambiato nel tempo e io insieme ai lavoratori.
Nell’era della globalizzazione, della multimedialità e del profitto rincorso a ogni costo, dove si colloca oggi la microimprenditoria, l’artigiano? Si può lavorare in un mercato sempre più globale rimanendo piccoli artigiani?
Non sono abituata a domande così interessanti nel mio lavoro, a fermarmi e pensare, ma è una delle cose che mi piace tanto. Rispondo in base alla mia esperienza …
Alcuni giorni fa, sono andata con la mia famiglia a festeggiare un compleanno di una amica in un locale: un capannone di una zona industriale , ben trasformato, grande, sembrava una vecchia fabbrica.
Nostro figlio è andato a giocare con altri bambini sui gonfiabili inseriti in un altro capannone. Tutto questo mi ha fatto riflettere. Mi sembra una buona idea la riqualificazione del territorio: dove prima c’erano le fabbriche e dove ci produceva, oggi ci siano posti per divertirsi. Mentre i capannoni di tante microimprese che non hanno chiuso battenti sono realtà dove si lavora e tanto, spesso meccanicamente a controllo numerico, dove si comunica poco e si eseguano ordini di lavoro richiesti da altri a basso costo.
In alcuni settori, per esempio quello dei metalmeccanici, che operano a ridosso delle grande produzione industriale, si trovano i lavoratori che hanno meno esperienza nella messa a punto dei prodotti finiti, ma passano nelle loro mani tutti quelli “piccoli pezzi” che diventano poi molto importanti per completare l’opera nella grande industria.Tanto importante il rapporto lavoratore e il pezzo… il valore del pezzo… discorsi degli anni Sessanta, ma che in alcuni settori nell’artigianato è ancora così.
In altri settori, i lavoratori devono essere altamente specializzati per realizzare prodotti così diversificati che vengono richiesti da tutte le parti del territorio del nostro Paese e del mondo…Il “made in Italy” ? Pura globalizzazione. Le aziende dipendono da queste nuove realtà produttive. Oggi nell’artigianato si dà poca attenzione e valore alle “conoscenze e al lavoro delle mani”: spesso sono proprio i lavoratori e le lavoratrici a dimenticarsi del talento e della qualità del loro lavoro, fatto a “regola d’arte”, del loro impegno a custodire le tradizioni. Il punto debole di queste realtà è che manca l’innovazione: nuove tecnologie e investimenti giusti.
Di che cosa necessitano questi laboratori, queste piccole imprese dal punto di vista della tutela sindacale rispetto al passato? Qual è la richiesta che più si ripete da parte loro quando vai a incontrarli?
Nell’artigianato manca una “cultura del sindacato” che, in Italia, ha una grande storia iniziata nelle grandi aziende . Si è passati dalla realtà della grande azienda alla microimpresa sparsa su tutto il territorio, forse troppo in fretta perché il Sindacato riesca a tutelare queste piccole, piccolissime aziende contemporaneamente. La tutela dei lavoratori e delle lavoratrici artigiani e delle microimprese con meno di 15 dipendenti passa per strade strette, tortuose e difficili, a cominciare dai contratti nazionali e dei loro diritti e salari; ma oggi il grande problema è fare i conti con la fatica e il destino delle loro imprese di mantenersi sul mercato.
Fino a qualche anno fa non riuscivamo a superare i muri di queste piccolissime fabbriche per parlare con i lavoratori che non avevano mai visto un sindacalista; il sindacato non poteva “letteralmente” entrare in queste aziende artigiane familiari. Oggi, al contrario, siamo chiamati in continuazione dalle stesse e “insieme a loro” contrattare, affrontare i problemi, che sono tanti, per la mancanza di commesse di liquidità delle aziende che non vogliono chiudere pensando a una ripresa.
Allora subentra la corresponsabilizzazione del datore di lavoro nel trovare soluzioni anche per i suoi lavoratori attraverso la mediazione sindacale. I lavoratori cominciano a credere e a iscriversi al sindacato. E’ allora che ci sentiamo dei veri rappresentanti. E’ allora che sono ripagata di tutte le mie fatiche.
La tutela di questi lavoratori passa dal prendersi cura della loro vita al valorizzare il loro lavoro. Il nostro modo cislino di fare sindacato è di ascoltare, eppoi comunicare, credendo nei nostri valori per trasferirli a loro.
Dal 2009, anche noi siamo chiamati per i motivi più svariati: le casse integrazioni in deroga; i licenziamenti; le varie problematiche degli apprendisti; le donne lavoratrici che non rientrano al lavoro dopo la maternità; il lavoratori/lavoratrici mal pagati e sfruttati delle cooperative; i lavoratori/lavoratrici stranieri e il lavoro nero; le finte partita Iva; gli stipendi pagati in ritardo; le condizioni di salute; di igiene che vengono a mancare.
E’ preoccupante questo aspetto. Nel primo anno di crisi i lavoratori, di fronte alla mancanza di lavoro, hanno curato e perfino migliorato l’aspetto e non solo l’organizzazione delle loro aziende; adesso, con il perdurare della crisi, alcuni lavoratori ci telefonano per raccontare quanto siano peggiorate le loro condizioni di lavoro.
Secondo te, l’artigianato può essere uno dei settori trainanti per il rilancio del nostro Paese in tempo di crisi e recessione?
Questa è la vera sfida. L’artigianato è già un settore trainate e non solo in questo momento così fragile. Queste aziende dovranno continuare a creare alleanze per organizzarsi insieme in piccole isole; in distretti con progetti territoriali di sostegno; costruire delle reti e insieme riuscire ad aiutarsi e a crescere … Mettersi insieme può renderli più forti e più competitivi sul piano internazionale. Per le aziende, il ruolo delle associazioni imprenditoriali potrà essere una grande risorsa e un prezioso aiuto.
Invece i lavoratori si devono fortificare e credere che insieme ad altri lavoratori si ha più forza. Ecco che così il Sindacato per il loro lavoro diventa fondamentale: per contare di più e avere dei salari più adeguati al lavoro che realizzano.
C’è un aspetto del settore artigianale che pochi conoscono e che tu senti di portare a testimonianza come valore aggiunto nel mercato del lavoro?
Girando per la Lombardia, è affascinante vedere tutte queste piccolissime aziende diversificate con le loro particolarità, creatività, uniche. Qualche esempio: la restauratrice di grandi opere d’arte nel Vaticano; quelle che si occupano del riscaldamento per gli scambi dei binari del treno durante l’inverno; quelle che costruiscono bellissimi giardini o microchip per i bancomat; i costumisti per il teatro; quelli che si occupano degli impianti di sicurezza delle banche; quelle che costruiscono biciclette; chi lavora statue in bronzo, in marmo o fanno opere d’arte con il ferro senza dimenticare, in questo lunghissimo elenco, i parrucchieri, i panettieri…
La formazione continua e i tanti progetti che negli ultimi anni sono stati presentati al Fondo Artigianato, ci danno tanta speranza. Per i lavoratori, un corso che rilascia un attestato, è un momento importante per dedicare del tempo a sé e per crescere professionalmente.
Qual è l’insegnamento che hai ricevuto da questi lavoratori-imprenditori?
Ammiro la loro dignità: dopo i momenti gloriosi del passato, sono stati travolti da questa crisi economico-finanziaria e non si sono arresi. Hanno trovato il modo di comunicare con il Sindacato e di collaborare con esso e con i lavoratori, continuando a investire nella loro azienda. I lavoratori con molta serietà hanno continuato a lavorare anche senza stipendio; a iscriversi al Sindacato nonostante le paure. I datori di lavoro hanno continuato a pagare, quando potevano, i loro lavoratori e a riconoscere a essi i loro diritti nonostante la mancanza di lavoro. Spesso le aziende, vedendosi rifiutare il lavoro, hanno abbassato i prezzi. Talvolta i lavoratori specializzati, ma avanti di età, hanno cambiato mestiere e ricominciato da capo...
E ora passiamo al ruolo femminile occupato dalla tua figura all’interno di “Piccola è bella”. Raccontaci in sintesi le difficoltà, ma anche i successi .
Fare l’operatrice sindacale di bacino credo che sia diverso che sulle grandi aziende. Ho a disposizione un vasto territorio, ci vuole tutto il mio impegno per arrivare in tutte le aziendine sparse ovunque; ma spesso sono anche i lavoratori che arrivano dal territorio a noi, per cui bisogna dare tante risposte in tanti modi diversi. Invece la realtà delle nostre aziende è molto maschile io ho portato il mio modo di veder fare e sentire il Sindacato: parlando ai lavoratori anche della mia realtà ed esperienza di lavoro come donna e sindacalista, provando a fare del mio meglio ogni qualvolta mi trovo coi lavoratori.
Sono mamma per cui tento di organizzare molto bene il mio tempo: la mattina presto e il tardo pomeriggio sono i momenti “più critici” perché dobbiamo portare i bimbi a scuola e andare a riprenderli, spesso mi ritrovo a essere una “sindacalista a tempo pieno” senza lasciare molto spazio al mio essere “mamma a tempo pieno”…
Puoi dirci, se esiste, quanto del tuo privato come moglie e madre ti ha aiutato od ostacolato nel tuo ruolo di operatrice sul territorio?
E’ difficile per me accettare che devo andare a prendere mio figlio alle ore 18 tutti giorni a scuola, ma con il tempo si superano anche questi sentimenti…Quando erano piccoli ho lasciato spesso il lavoro per potere star vicino a loro nei momenti più critici ed essere sempre presente… Adesso spesso succede il contrario, faccio fatica a seguirli per impegni di grande responsabilità sindacale. In famiglia è cresciuta la consapevolezza del momento che si sta vivendo anche perché mio marito lavora in una piccola azienda. E’ diventato “fondamentale” il suo aiuto nel seguire anche i nostri figli. Sono così più disponibile per il mio lavoro e meno preoccupata e pensierosa ogni qualvolta non riesco a stare con i miei figli.
Come donna e moglie quasi quotidianamente ti arrovellerai con il far “quadrare” il bilancio famigliare… ma per quello “sindacale”, come sei riuscita ad ottenere ottimi risultati?
Abbiamo due figli e due stipendi da operai, sono fiera di questo, ma come dice tu far quadrare il bilancio è davvero difficile. Abbiamo comprato da poco la nostra piccola casa di due locali, un miracolo, davvero … Gli ottimi risultati dell’Ufficio artigianato negli ultimi anni sono dovuti a vari fattori, oltre al molto lavoro svolto e alla cura che dedico sul territorio. Nel nostro ambito, spesso tutelare i lavoratori è a prescindere della tessera sindacale per cui è il “gruppo di lavoro” che sostiene e ottiene un buon risultato. Sono passati da me alcuni colleghi che mi hanno dato una mano e che io ringrazio, abbiamo puntato sempre sul “lavoro di squadra” in questo ufficio per fare crescere l’esperienza; non sempre riusciamo a iscrivere i lavoratori con le loro diversissime problematiche, ma il nostro lavoro lo facciamo lo stesso, provando a ottenere i migliori risultati in tutti gli ambiti.
C’è un messaggio che senti di voler dare ai nostri Dirigenti sindacali come Donna?
A livello nazionale, i contratti devono avvicinarsi a quelli dell’Industria. Ci sono settori dove le differenze retributive sono talmente grandi che spesso le aziende e i lavoratori ricorrono ad “accordi individuali in nero“ per aggirare ogni minimo problema. La contrattazione territoriale e regionale invece è la vera “sfida” in risposta a una specifica realtà territoriale. Le iscrizioni dei lavoratori al sindacato dovrebbero passare da Elba così come diventa urgente che questo ente si occupi di lavoratori/lavoratrici avanti con l’età che nel nostro settore, una volta espulsi per crisi aziendale, non trovano più lavoro. Forse questo anche per le aziende sarebbe interessante, come aiuto nel cambio generazionale. Una parola ai dirigenti della mia Organizzazione per quanto riguarda il mio lavoro come donna nella Cisl. Da anni con molta consapevolezza e dignità vivo la mia condizione lavorativa, e volevo dare un mio contributo in questo senso: penso che sia arrivato il momento di aumentare l’interesse nell’ambito dell’artigianato, e per fare questo urge una politica di presenza sindacale per soddisfare al meglio tutte le richieste del territorio. Sarebbe bello investire sulle persone anche in base alle proprie competenze e secondo una politica di premialità. Voglio anche ringraziare tutti colleghi che mi hanno aiutato in tutti questi anni e Ivano Tosolini collaboratore volontario di “Piccola e bella” e colonna portante di quest’Ufficio, senza di lui tutto sarebbe stato più difficile. Un ultimo pensiero: voglio anch’io far parte di quello sindacato di nuova frontiera che negli anni si è fatto più attento ai risultati concreti ottenuti anche da piccole conquiste che ai grandi proclami.