L'EVENTO
E' stata una donna a presentare la Particella di Dio

Il 4 Luglio a dare l’annuncio della straordinaria scoperta c’era una donna italiana. Si tratta di Fabiola Gianotti, coordinatrice del progetto ATLAS che ha permesso di trovare il "ricercato speciale".

Il protagonista assoluto è stato lui, il bosone di Higgs; latitante per 50 anni è stato finalmente scovato provocando l'esultanza dell'intero mondo scientifico internazionale.

Lo chiamano "la particella di Dio" perché la sua esistenza conferma il "meccanismo di Higgs" sulla natura elementare della massa e quindi di tutta la materia visibile.

Il 4 Luglio a dare l’annuncio della straordinaria scoperta c’era una donna italiana. Si tratta di Fabiola Gianotti, coordinatrice del progetto ATLAS che ha permesso di trovare il "ricercato speciale".

Fabiola Gianotti è nata a Torino nel 1962, suo padre era un geologo piemontese mentre sua madre era una siciliana amante delle lettere.

Ha studiato a Milano dove si è laureata in fisica sub-nucleare presso l'Università degli Studi di Milano.

E’ entrata al CERN nell’87 e lì ha lavorato su numerosi progetti fino ad arrivare al progetto ATLAS, di cui è responsabile.

Il 26 febbraio 2009 è stata nominata Commendatore della Repubblica Italiana per "le sue conoscenze scientifiche, le spiccate doti gestionali e il suo importante contributo al prestigio di cui gode la nostra comunità di scienziati nel campo della fisica nucleare".

Insomma è una di quelle donne italiane di cui essere davvero orgogliosi, che ha raggiunto l'eccellenza in un ambito che, almeno qui da noi, è prevalentemente e tradizionalmente maschile.

Lei vanta orgogliosamente le sue origini. Sul corriere della sera dice “Modestia a parte, non siamo secondi a nessuno. La nostra scuola di fisica continua a sfornare ancora oggi giovani brillanti, fra i migliori al mondo”.

Ma molto a malincuore dice anche "Come fisico italiano all'estero è per me fonte di grande rincrescimento constatare quanti di questi giovani oggi siano costretti ad emigrare all'estero, andando letteralmente a ruba in paesi come la Francia, la Germania e gli Stati Uniti, a causa della mancanza di posti nel nostro Paese e allo spettro del precariato”.

E io mi unisco al suo sconforto, come italiana che vede il proprio paese privato di talenti che si trasferiscono all’estero, come madre che si preoccupa dei propri figli e del loro futuro incerto, come sindacalista che ogni giorno in azienda vivo la frustrazione dei giovani colleghi che sono messi alle strette da contratti atipici che non gli permettono di progettare le loro vite.

E pensare che questi ragazzi sono quelli “fortunati” se, come risulta dalle ultime statistiche, la disoccupazione giovanile è ormai giunta al 36%, percentuali drammatiche di uno spreco che paghiamo tutti e che non possiamo più permetterci.

Dice altre cose molto belle a proposito dei ragazzi con cui lavora "questi giovani sono una fonte di motivazione che mi permette di andare avanti con fiducia anche nei momenti più difficili".

Qualcosa mi porta a pensare che anche quei giovani siano felici di lavorare con lei e lo dimostrano i risultati che insieme, come gruppo, hanno ottenuto. Probabilmente molto stanchi ma motivati e soddisfatti.

In fondo è questo che si chiede ad una buona “capa”, no? Che sia in grado di motivare il suo gruppo, di valorizzare i talenti di ciascuno per finalizzarli nel raggiungimento degli obbiettivi che il gruppo di lavoro si è dato o ha ricevuto.

Sembra un concetto scontato eppure non lo è affatto visto che i modelli di leadership nelle aziende sono molto diversi da questo.

Ma poi aggiunge anche una riflessione che mi piace moltissimo dicendo: "Si tratta, non soltanto di un progetto scientifico ambiziosissimo, ma anche di un'avventura umana unica, per me molto arricchente e stimolante. E la dimostrazione che persone diverse per cultura, tradizioni e stili di vita possono lavorare insieme raggiungendo traguardi straordinari." E con questo conferma con la sua esperienza quello che la CISL, e il coordinamento donne in particolare, sostengono da tempo ossia che le differenze, di qualunque natura (genere, paese, religione, età...), siano una vera ricchezza.

L'esperimento di Ginevra, quindi, oltre che essere esaltante da un punto di vista scientifico, insegna a tutti che collaborazione e diversità sono due fattori di arricchimento, non solo umano, ma un reale valore aggiunto per le organizzazioni e per la loro efficienza; un esempio di buona prassi, insomma, come si usa dire.

Invece quel che spesso accade nelle nostre aziende è che le differenze vengano appiattite pretendendo che i lavoratori siano tutti uguali con le stesse esigenze e le stesse caratteristiche e si punta più alla competizione che alla collaborazione provocando spesso più frustrazione che buoni risultati.

Mi sarebbe piaciuto poter sapere se a Ginevra la Gianotti abbia trovato un impenetrabile soffitto di cristallo, come capita a molte donne in Italia, e come sia riuscita a conciliare il suo lavoro da scienziata affermata con la sua vita privata.

Purtroppo, però, questo non lo dice. Peccato perché magari anche questo sarebbe potuto essere per noi un buon esempio da riportare nei nostri ambienti di lavoro.

09/07/2012
Maddalena Acquaviti
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