MATERNITA' E OCCUPAZIONE: UN RAPPORTO DIFFICILE
O il bimbo o il posto

Sono sempre di più le donne che si dimettono  per poter curare i figli: solo in Lombardia sono 5mila ogni anno, troppe. Cosa è stato fatto e cosa si può fare i concreto per conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia

I numeri delle recenti  rilevazioni ISTAT delle Forze di Lavoro  che si riferiscono al primo trimestre 2011 , danno, in regione Lombardia, un tasso di occupazione femminile al 55,4% , in calo di 0,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e  confermano, inoltre, la diminuzione del tasso di attività al 59,5 % , in calo di 0,8% rispetto al primo trimestre 2010 (le donne quindi più difficilmente rientrano nel mercato del lavoro una volta uscite).
Nell’ultimo anno dunque si sono risentite, anche per l’occupazione,  le ripercussioni di una crisi che sembrava, fino ad ora, aver risparmiato, in Lombardia, il lavoro delle donne.

La fotografia dell’occupazione femminile in regione si completa con la suddivisione per settori: l‘80,6% delle donne occupate lavora nei servizi (di cui il 16,8% nel commercio),  il 18,6% nell‘industria (di cui il 7,9% nelle costruzioni) ed il restante 0,8% nell‘agricoltura (fonte ISFOL).

I dati numerici, che pure pongono la Lombardia fra le regioni più virtuose in Italia, vanno letti tuttavia anche alla luce degli squilibri interni al mercato del lavoro che, più volte e in vari contesti, sono stati sottolineati: sono gli uomini a occupare il maggior numero di posti di vertice rispetto alle donne, che ricoprono posizioni dirigenziali solo nel 18% dei casi e che vivono, loro malgrado, una sorta di stagnazione professionale che le relega in posizioni di basso o medio profilo; ancora persistono differenze salariali fra donne e uomini per lavori di uguale valore (quest’anno 2012 l’Europa ha voluto che fosse dedicato a questo tema la giornata dell’8 marzo) e la maternità è, ancora oggi, uno dei principali ostacoli all’occupazione femminile.
Ed è proprio su questo ultimo punto che ha voluto indagare lo studio “ Maternità e occupazione: a quali condizioni? ” promosso dall’Ufficio della Consigliere di Parità della Regione Lombardia e realizzato da Associazione IRENE.

Nella sola regione Lombardia, infatti, ogni anno, sono circa 5000 le donne che si dimettono dal loro posto di lavoro nel primo anno di vita di un  figlio . “[…] Troppe ”, ha detto la Consigliera di Parità regionale nell’evento di presentazione della ricerca, “ soprattutto in una regione come la nostra nella quale grande è stato l’impegno rivolto alla conciliazione famiglia-lavoro e non poche le risorse messe a disposizione per una capillare diffusione degli interventi sul territorio regionale ”.

Lo studio  ha coinvolto un campione di 855 donne che hanno rassegnato le dimissioni tra il 2005 e il 2008 nelle province di Milano, Monza Brianza, Bergamo e Varese, province nelle quali sono numerose le richieste di dimissioni.  Si è  inteso dunque fare il punto della situazione di un fenomeno molto complesso che riguarda la storia delle stesse donne, la famiglia, l’organizzazione del lavoro e dei tempi delle città e ha voluto ,oltre che mettere in evidenza le criticità del tema, evidenziare  anche spunti  interessanti per promuovere e favorire la presenza e la permanenza femminile nel mercato del lavoro, quale fattore strategico per lo sviluppo economico. Si è voluto indagare se la transizione dal lavoro retribuito al lavoro familiare e di cura non retribuito, trascorsi 3 - 6 anni dal momento delle dimissioni, fosse divenuta una condizione permanente oppure quali fattori abbiano favorito il ritorno nel mercato del lavoro delle madri dimissionarie e, ancora, quali potrebbero favorire il ritorno delle madri ancora escluse dal mercato del lavoro.

La mamma che lascia il posto di lavoro è prevalentemente  una lavoratrice di 36-45 anni con titolo di studio di istruzione secondaria che si dimette da  un’occupazione di media o bassa qualificazione, in una piccola azienda e, in un caso su tre, anche dopo 10 anni di anzianità lavorativa. Lascia l’occupazione in occasione della prima gravidanza e, spesso, in un breve intervallo  di tempo, affronta anche la seconda.

Secondo i dati raccolti, dopo 3/6 anni, solo la metà di queste mamme dimissionarie è rientrata nel mercato del lavoro .  A quali condizioni?

La principale leva che rende possibile  la reintegrazione nel mercato del lavoro è la gestione sostenibile dei tempi del lavoro e della città, resa effettiva dalla flessibilità dell’orario lavorativo e dalla vicinanza tra l’abitazione e il posto di lavoro. Le madri desiderano un’occupazione per contribuire al bilancio familiare e, quindi, anche il livello di retribuzione costituisce un fattore determinante per il ritorno al lavoro nell’ottica che lavorare debba essere più conveniente che non lavorare. Le madri che continuano ad essere escluse dal mercato del lavoro, se da un lato rivendicano una scelta precisa di dedicarsi alla cura dei figli, dall’altro lamentano la mancanza di opportunità professionali  che si possano conciliare con le esigenze di cura familiare, segnalando, come fattore disincentivante, la scarsa flessibilità dell’orario di lavoro che caratterizza molte occupazioni. Oltre la scelta volontaria di seguire a tempo pieno la famiglia (come affermato dalla metà delle non occupate), tra i fattori che principalmente condizionano l’agire femminile, emergono la flessibilità degli orari di lavoro e la distanza casa-ufficio.

Fra le variabili che incidono sul   rientro della donna nel mercato del lavoro, si ritrovano: età , titolo di studio , numero di figli e condivisione dei carichi di cura familiari . Se vent’anni  di età sembrano, oggi, pochi per affrontare le responsabilità di un lavoro così impegnativo com’è quello del genitore, rimandare troppo la maternità può causare l’esclusione permanente dal mercato del lavoro .
Infatti, sebbene molte donne italiane siano costrette a procrastinare l’età cui mettere al mondo il primo figlio, lo studio dimostra che le mamme più giovani, ovvero al di sotto dei trentacinque anni, sono quelle che si reinseriscono nel mercato del lavoro per il 60% dei casi, a fronte del 42% delle donne che hanno superato la soglia dei quarantacinque anni. Così pure il fattore istruzione rappresenta un vantaggio per l’occupazione. Il 68% delle donne con titolo di studio universitario torna al lavoro, contro il 57% delle titolari di un diploma di scuola secondaria superiore e solo il 35% delle madri con un diploma di scuola media inferiore. Scelta volontaria? Fino un certo punto. Di fatto, in riferimento al campione raggiunto dalla ricerca, circa la metà delle donne ad oggi fuori dal mercato del lavoro, lamenta questa “esclusione” quale conseguenza dell’ impossibilità di trovare un impiego che  venga incontro alle esigenze familiari e del mancato supporto nei carichi di cura familiare .

Proprio a riguardo di questo secondo punto,  lo studio  dimostra come la famiglia sia ancora il luogo effettivo di condivisione dei carichi di cura per la maggioranza delle intervistate e come un supporto familiare possa  incoraggiare –più di ogni altro servizio- la donna a coniugare ambizioni professionali e private. Sono numerosissime le donne rientrate nel mondo del lavoro che hanno annoverato - tra i fattori che le hanno aiutate a rientrare - la disponibilità di familiari, che nella maggior parte dei casi sono i nonni, a fornire la migliore custodia e assistenza  gratuita per i bambini. Nella fotografia scattata dallo studio emerge anche una nuova immagine  dei padri , visti come presenze positive, come conferma l’86% delle rispondenti.  Purtroppo però, solo 48 papà (su un totale – lo ricordiamo – di 855 intervistate) hanno concretizzato questa presenza usufruendo del congedo parentale,  in modo che, di fatto, nella maggior parte dei casi, i padri condividono i carichi di cura, quasi esclusivamente  durante il fine settimana.

In conclusione abbiamo ritrovato, ancora una volta nei risultati della nostra indagine una conferma di ciò che, in letteratura, si definisce “motherhood penality”,  ossia la diversa incidenza che la genitorialità ha sulla partecipazione attiva al mercato del lavoro in base al genere, motivo per cui si evidenzia una specifica vulnerabilità femminile causata dal concatenarsi di una serie complessa di sfavorevoli fattori di rischio che, di fatto, scoraggiano o impediscono il rientro nel mercato del lavoro. E’ dunque evidente che, date le caratteristiche del fenomeno delle dimissioni, per sostenere l’occupabilità delle madri dimissionarie andranno messi in campo interventi specifici  in particolare nel caso di donne in età adulta avanzata (36-45 anni) e con basso livello di istruzione, come pure nel caso di aziende di medio/piccole dimensioni che si possono giovare di un supporto  per individuare modalità di lavoro più flessibile al fine di  un’occupazione più sostenibile. Altri elementi di cambiamento e progresso si possono individuare nella promozione della cultura “della cura” fino dai primi anni della scuola oltre che la promozione di una cultura di genere all’interno delle aziende per un’organizzazione del lavoro che tenga conto delle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Altre azioni dovrebbero invece attraversare, in un’ottica di gender mainstreaming le politiche pubbliche , quali, solo a titolo di esempio, quelle dei trasporti  o della formazione e lavoro.

Proprio perché il nostro tempo è  caratterizzato da una condizione di generale crisi economica e finanziaria,  vanno reperite le risorse e  individuati gli strumenti finanziari appropriati per consentire sempre più alle donne di restare nel mercato del lavoro, non solo per una questione di parità di opportunità , quanto per una questione di crescita economica  e sviluppo sostenibile.

05/07/2012
Gabriella Merlo – Presidente Associazione IRENE (Iniziative Ricerche Esperienze per una Nuova Europa) - info@jobedi.it
Twitter Facebook