IL LEADER DEI SYSTEM OF A DOWN
Serj Tankian, il rock ha un artista intelligente

Nato in Libano, cresciuto in famiglia armena, rockstar californiana. Le tre anime del rocker.

Appena ci si trova nella stessa stanza di Serj Tankian, leader dei System of a Down, il gruppo alternative-rock più osannato degli ultimi anni, si capisce che non è una rockstar comune. Nato il Libano, cresciuto in famiglia armena, non ha niente della rockstar californiana che riempie i palazzetti nel mondo. Il suo gruppo è venerato da una generazione di simil-metallari che cercano più sostanza nelle liriche che canta che nelle schitarrate. È strano vederlo così premuroso e tranquillo: ti prende la sedia, ti mette a suo agio. E appena gli chiedi cosa aspira ad essere, ora che pubblica il suo terzo disco solista, ti spiazza con una risposta che non c’entra niente con la carriera: “Un buon essere umano”.

Sei in giro per il mondo a presentare Harakiri, un disco pieno di riferimenti all’attualità e alle cause che ti stanno a cuore. Come l’hai concepito?

Ho iniziato a suonare le mie idee su un iPad, bisogna sempre trovare nuovi modi per scrivere musica se si vuole ottenere un risultato sorprendente. Poi ho pensato a questo nome giapponese Harakiri che indica un suicidio rituale, di cui siamo testimoni, perché maltrattiamo il nostro mondo e non vediamo che ci sono altri modi di vivere. Ci stiamo avvicinando al momento in cui dobbiamo scegliere se cambiare il nostro stile di vita così come lo conosciamo.

Perché ti interessa la causa ambientale?

Perché vivo in un Paese, l’America, dove la politica è molto particolare e ci sono degli eccessi. Se vogliamo che la Cina e l’India aderiscano al nostro modello e li spingiamo a comprarsi tutte le macchine è un disastro. Ma ci sono degli interessi ovviamente. Ora con Obama le cose sono meno ombrose, anche se è vero quello che si diceva un tempo: se vuoi la miglior arte, beccati il peggior presidente.

Pensi che gli artisti con l’era di Obama si siano addolciti?

Indubbiamente la rabbia è diminuita. Sono convinto che al momento gli Stati Uniti stiano vivendo una fase di compromessi morbidi. Il suo sistema sanitario è un buon punto di inizio, anche se a me sarebbe piaciuto che l’America avesse avuto una sanità totalmente pubblica.

Come fai a conciliare il tuo impegno, quello che dici e che scrivi, con l’immagine di rocker nei System of a Down?

Sono completamente spezzato a metà tra le due cose. Ma in realtà non ho mai pensato che da solo sarei riuscito a parlare meglio al mio pubblico, quello che devo dire lo dico anche se faccio il cantante rock in una band.

Musicalmente il disco a cosa si ispira?

Ho messo molta più elettronica qualche venatura gotica anni 80 e da ora in poi mi voglio considerare un compositore più che un rocker. Ho un immaginario musicale aperto a molte influenze, non ho fatto ancora l’opera ma forse ci arriverò.

Cosa c’è della cultura armena nella tua produzione?

Sono di quella etnia e quando torno lì è sempre emozionante. Credo che il martirio e la sofferenza del mio popolo abbia influenzato molto le melodie a volte strazianti del folk armeno. E queste cose, anche se inconsapevolmente, me le porto dietro quando scrivo i miei pezzi.

03/07/2012
Christian D Antonio - c.dantonio@jobedi.it
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