Il bello e il ben fatto, nel nuovo libro di Antonio Calabrò
Il Riscatto

Dalla pubblicità al mondo delle consulenze e il ‘popolo della partite Iva’, dalla green economy come stile da applicare a tutti i tessuti, al manufatturiero e alla fabbrica ma si tratta di una fabbrica radicalmente diversa rispetto al passato. Officina e laboratorio di ricerca, linea di costruzione e reparti di sperimentazione, uffici tecnici e studi comuni con le università.

Il riscatto

Nani Beccalli Falco e Antonio Calabrò

Università Bocconi Editore, 16 euro.

Alto debito e basso tasso di crescita: sono questi i mali dell’economia nazionale. A cui sembra difficile trovare una cura risolutiva. Lo stato di salute dell’azienda-Italia è ben tracciato in un documentatissimo libro di Nani Beccalli Falco e Antonio Calabrò: Il riscatto (Università Bocconi Editore, 16 euro). Duecentosedici pagine, fitte di numeri e analisi: si parte dalla diagnosi per arrivare alla terapia, con la consapevolezza che il paziente è grave e non è detto che riesca a riprendersi. Gli autori, però, da esperti uomini d’impresa (Calabrò è anche un autorevole giornalista) hanno fiducia (da qui il titolo della loro fatica letteraria) e guardano con interesse ai disegni di riforma del governo Monti. La diagnosi, si diceva: l’Italia arranca. Un dato significativo è quello sugli investimenti esteri: nel 2010 il Paese ha attratto risorse per 337 miliardi di dollari, contro i 614 della Spagna, i 674 della Germania, i 1.008 della Francia, i 1.086 della Gran Bretagna. Scoprire le ragioni di questo scarso appeal significa fare l’elenco di tutti gli ostacoli che frenano lo sviluppo: dalle inefficienze della pubblica amministrazione al deficit (soprattutto in certe regioni) infrastrutturale (si parla di strutture materiali e immateriali), dalla farraginosità del mercato del lavoro al malfunzionamento della giustizia, dalla pervasività della criminalità organizzata ai condizionamenti della politica, dalla complessità del sistema fiscale agli alti costi dell’energia. Ma a bloccare la crescita sono anche l’ingente debito pubblico, l’evasione fiscale a livelli record, i ritardi sul fronte formazione-istruzione, i corporativismi, la mancanza di meritocrazia, l’elevato costo del lavoro (accompagnato a salari bassi) e via via discorrendo. Il libro affronta ogni aspetto, con tanto di cifre, valutazioni puntuali. Ma allora è tutto perduto? Secondo gli autori no, l’Italia ce la può ancora fare. Posto che la risposta alla crisi non è in capo ai singolo Paesi, ma semmai evidenzia la necessità di dar vita a un nuovo modello di sviluppo e di ripensare ai rapporti tra l’Occidente e le nuove potenze mondiali (i cosiddetti Bric: Brasile, Russia, India, Cina), Beccalli Falco e Calabrò sostengono che bisogna mettere mano alle riforme e agli ammodernamenti del caso (in materia di mercato del lavoro, fisco, giustizia, burocrazia…) e tornare alla “fabbrica”. “Se la Grande Crisi  – scrivono i due – ha avuto caratteristiche tipicamente finanziarie e ha rivelato la fragilità (oltre che l’ingiustizia) di un’economia rapacemente finanziarizzata, sta proprio in alcuni dei grandi Paesi europei una delle principali chiavi di volta per un rinnovamento economico. La forza dell’industria. La solidità della manifattura. La parola d’ordine è: ritornare all’economia reale… Che industria? Una manifattura con forti caratteristiche hi-tech, specializzata in prodotti di alta gamma, con elevati margini di valore aggiunto, incorporando servizi innovativi e una speciale attenzione alla sostenibilità. Un’industria green , vissuta non come settore specifico ma come cultura produttiva generale che riguarda tutti i settori, la meccanica e la chimica, l’alimentare e il tessile, la gomma e l’edilizia… Torna, nel dibattito pubblico, la parola fabbrica. Ma si tratta di una fabbrica radicalmente diversa rispetto al passato. Officina e laboratorio di ricerca, linea di costruzione e reparti di sperimentazione, uffici tecnici e studi comuni con le università. Punto cardine di una serie di servizi collegati, dalla logistica alla finanza d’impresa, dalla pubblicità al diritto degli affari, sino al mondo delle consulenze specializzate, il ‘popolo della partite Iva’ qualificate che sono parte essenziale di un tessuto di competenze e sostegno alla produttività. Di un universo così innovativo e articolato – produzione, ricerca e servizi – l’industria italiana offre numerosissimi esempi”.

L’Italia deve, insomma, riscoprire l’antica sapienza manifatturiera e il gusto estetico che sono nel suo dna. Ovvero, il bello e ben fatto.

18/06/2012
Mauro Cereda
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