L’incontro è alla base della straordinaria sensibilità di Diego Mancino. Classe 70, il cantautore milanese esce in questo periodo con un disco, È Necessario, che è la sintesi del suo stile cantautoriale con le influenze dell’hip hop, che proprio a Milano ha in questi anni il suo epicentro.
«Non mi interessava andare avanti a fare musica uguale» ci ha raccontato ricevendoci nel suo studio, un basement in zona Crocetta «volevo contaminazione perché è l’unica strada oggi per creare qualcosa di interessante». Il risultato è sorprendente per certi versi: le atmosfere intimiste delle sue liriche di Come Dei Ragazzi o Colpa Della Musica si sposano con i piatti del dj che ha prodotto la musica, Dj Myke, già al lavoro con Jovanotti e Fabri Fibra. Da dove gli arriva questa voglia di “sporcarsi” con generi che apparentemente non gli appartengono? «Ripenso agli anni dei miei esordi, in quella Milano degli anni 90 disposta a scommettere sulla contaminazione. Capitava di stare assieme ad altri artisti, c’erano punti di aggregazione spontanea dove potersi scambiare idee. C’erano i primi arrivi di immigrati, mancava quel senso di paura che c’è oggi. Ma tutto si paga. La separazione percettibile tra italiani e stranieri che c’è oggi in città è frutto di anni di politica fondata sulla paura, di azioni di chiusura su sé stessi che ha creato isole che non comunicano, sia nella cultura che nella società. E proprio in questo momento di difficoltà è proprio la cultura a essere presa di mira. Milano per fortuna non è così come vogliono farci credere. È una città ancora molto magica, è la città dei cortili segreti, quella che si deve scoprire lentamente. Se pensiamo solo al ruolo di punto di incontro tra nord e sud, Milano è già speciale per questo. Ma se la si prende come laboratorio per veicolare il sospetto verso il diverso, siamo fuori strada».
A modo suo Mancino sta facendo la sua piccola rivoluzione. E da autore per cantanti molto più famosi di lui (Renga, Noemi, Daniele Silvestri) si mette in prima linea con questo disco per raccontare il suo punto di vista. «Vorrei che mi ascoltassero anche i ragazzini, perché è a 16 anni che formi il tuo pensiero, a 40 sei un uomo fatto. Io mi sono avvicinato alla musica per necessità, seguivo mio padre che girava tra Francia e Svizzera e il cambiamento per me era qualcosa di naturale e di inevitabile. Vorrei anche che ascoltando i miei pezzi ci fosse qualcuno che apra gli occhi. I politici ci dicono sempre che bisogna investire sul nostro futuro, sul futuro di un’intera generazione che però al momento non ha nemmeno un presente. Pensare che ci sia un presente quando manca il lavoro e la possibilità di andare fuori casa è fuorviante. Io nelle canzoni dico: riappropriamoci del nostro presente che è più necessario di pensare al nostro futuro».