MASSIMILIANO VALERII, DIRETTORE GENERALE DEL CENSIS
Italiani rancorosi, il frutto avvelenato della crisi

E’ come se avessimo ricevuto un torto,  aver dato più di quanto si è ricevuto. Anche il linguaggio si è imbarbarito. Ecco perché l’Italia è diventato un Paese di rancorosi. E il peggio deve ancora venire.

Massimiliano Valerii è direttore generale del Censis e curatore dell’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, pubblicato dal 1967 e considerato uno dei più qualificati e completi strumenti di interpretazione della realtà socio-economica italiana. Job lo ha incontrato al Festival della Mente di Sarzana.

Valerii, l’ultimo Rapporto del Censis ci ha detto che sta crescendo l’Italia dei rancori. Cosa significa?

Questa è la cifra interpretativa più efficace per descrivere la situazione sociale che stiamo vivendo. Che cos’è il rancore? E’ la sensazione di avere subito un torto, o di non essersi visto riconosciuto un merito. In ogni caso, di avere dato più di quanto si è ricevuto indietro. Questo è il frutto avvelenato, il lascito della crisi. Il rancore lo riscontriamo in tanti episodi di cronaca, anche nella nostra vita quotidiana. Persino il linguaggio è diventato rancoroso, si è imbarbarito. Paradossalmente il rancore si è accentuato nel momento in cui siamo usciti dalla crisi, con la ripresa economica, perché non si è avuta la percezione di una redistribuzione del dividendo sociale. Oggi siamo in un clima di antropologia dell’insicurezza: la paura ci paralizza sia dal punto di vista delle prospettive economiche, ma anche nelle relazioni con gli altri. Basta considerare il timore provocato dagli sbarchi dei migranti sulle nostre coste.

Strillo: C’è il rischio che il rancore diventi  vendetta

Nel 2018 questa tendenza si è rafforzata? Emergerà nel prossimo Rapporto?

Sicuramente. Quest’anno c’è il rischio che il rancore diventi vendetta. Lo si constata anche osservando alcuni scenari politici. Non abbiamo superato quelle passioni tristi, a cominciare dal rancore, che sono derivate dalla crisi. Addirittura c’è il pericolo di un peggioramento della situazione.

I più scoraggiati sembrano i giovani: è così?

I giovani sono il gruppo sociale uscito più malconcio dalla crisi, sia in termini di prospettive occupazionali che reddituali. I giovani italiani vivono una situazione paradossale, sono una generazione perduta, lo si vede anche dalle statistiche demografiche. Detto molto prosaicamente: i giovani nel nostro Paese sono pochi. Questo significa che hanno una scarsa capacità di rappresentare i propri interessi e di incidere politicamente perché rappresentano un bacino elettorale poco appetibile per l’offerta politica.

Strillo 2: Dall’immigrazioni alle tecnologia: tutto viene vissuto come minaccia

Come si può ritrovare fiducia nel futuro?

Bisogna rompere lo schema di questa nuova antropologia dell’insicurezza di cui parlavo prima, in cui tutti siamo immersi. Contano più il timore e la paura nel leggere i fenomeni che ci accadono intorno, piuttosto che la capacità di vederli come opportunità. Penso alle migrazioni, ma anche ad altri fenomeni: l’intelligenza artificiale, l’automazione, la robotica, il feticcio dell’algoritmo… oggi tutto viene vissuto come minaccia. Bisogna cominciare a cogliere questi fenomeni come  opportunità.

Lei al Festival della Mente di Sarzana ha partecipato ad un incontro sul mito: quali sono i miti di oggi?

Dal punto di vista dell’immaginario collettivo che si popola dei miti, è interessante notare come stiamo attraversando una fase di profonda transizione. In questo momento verifichiamo la coesistenza di miti che erano cari alla generazione dei nostri padri - penso al posto fisso o alla casa di proprietà -, con nuove icone della contemporaneità che sono state fatte proprie dai più giovani: oggi lo smartphone è un oggetto di culto, i social network sono strumenti formidabili con cui filtrare il mondo e fare espressione di sé. La cosa che colpisce, soprattutto per le nuove generazioni, è che uno dei miti del passato, cioè il conseguimento di un buon titolo di studio - la laurea, il famoso “pezzo di carta” che rappresentava il biglietto di accesso ai piani alti della società -, ha perso lo smalto che aveva in passato. Probabilmente anche come effetto delle frustrazioni di questi anni,  per cui giovani anche molto formati, istruiti, e con elevate competenze, sono stati mantenuti ai margini del mercato del lavoro.

15/10/2018
di Mauro Cereda
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