Nel suo ultimo libro il sociologo Guido Baglioni analizza un problema di grande attualità. Che richiede risposte dalla politica.
Da oltre un ventennio assistiamo alla vasta ripresa del dibattito sulla disuguaglianza. La novità è che non ci si limita a considerare il classico divario della condizione umana, ma si è aggiunta una specifica attenzione, acuita dalla crisi, sulla situazione dei paesi ricchi. Con questa espressione facciamo riferimento ai paesi collocati nella parte superiore del globo, dalla California al Giappone; che hanno sempre avuto o hanno regimi politici democratici e, raggiungendo un notevole grado di benessere. Come dimostra il loro Pil pro capite.
Al loro interno le differenze sono notoriamente marcate. Se prendiamo l’indice di Gini, che esprime con 0 una situazione di perfetta uguaglianza e con 1 una situazione opposta, ossia perfetta disuguaglianza individuale, possiamo conoscere, fra altri, questi dati (2015): Svezia e Norvegia 0,24, Danimarca e Olanda 0,26, Germania 0,29, Francia e Giappone 0,31, Italia 0,33, Regno Unito 0,35, Stati Uniti 0,37.
La disuguaglianza non è sempre economicamente e socialmente negativa e comprende in primo luogo le diversità e le qualità degli individui e dei gruppi. Essa risulta negativa o ingiustificata quando la ricchezza si concentra vistosamente e convive con quote cospicue di povertà. Essa si manifesta come povertà assoluta se riguarda la popolazione che non dispone di risorse sufficienti per far fronte alle necessità quotidiane minime; come povertà relativa se riguarda la popolazione che dispone di risorse inferiori al 50-60% del reddito mediano e, quindi, varia in relazione al contesto di riferimento.
Nei paesi ricchi, in Italia più che in altri, le due povertà corrispondono a circa il 20% della popolazione, mentre nel passato, i poveri erano la grande maggioranza.
La disuguaglianza, di cui normalmente si parla, è la disuguaglianza economica, quella che attiene al reddito ed al patrimonio. Essa è la più importante ed incisiva ma non comprende tutto lo spazio del fenomeno. Bisogna allora parlare di altre disuguaglianze, quelle economico-sociali, che comprendono gli stili di vita, la durata dell’esistenza, la libertà politica, la salute e l’istruzione, i consumi ed il tempo libero. Ebbene queste disuguaglianze appaiono più tenui rispetto alla disuguaglianza economica, pensiamo, ad esempio, al sistema sanitario nazionale o alla diffusione di beni durevoli (dall’automobile al computer).
Considerando l’insieme del fenomeno, si può prevedere una riduzione nel futuro, soprattutto per la disuguaglianza economica?
Gli ostacoli sono molteplici, tra i quali: l’instabilità internazionale, problemi sociali enormi come quello migratorio, il divario fra tecnologia ed occupazione e differenti livelli di produttività, la crisi dei partiti socialdemocratici e/o riformisti, la diffusa scissione fra condizioni sociali e scelte elettorali. Inoltre, le politiche redistributive di contrasto alla povertà si scontrano in Italia con l’insidia del debito pubblico.
Non si può quindi prescindere dalla crescita economica, che va aiutata da scelte pubbliche e non solo affidata agli automatismi del mercato. Questa è la priorità che sembra meglio corrispondere alle aspettative dei gruppi sociali intermedi e di quelli svantaggiati; che temono l’insicurezza; hanno aspettative molto ampie nei confronti dell’azione politica; chiedono più posti di lavoro e buoni servizi piuttosto che colpire le minoranze privilegiate.
Tutto ciò non sarà in grado di ridurre la disuguaglianza economica, ma può offrire risorse preziose per una maggiore equità.
Guido Baglioni
La disuguaglianza e il suo futuro nei paesi ricchi
Bologna, Società Editrice il Mulino, 2018