INCHIESTA/EUROPA
Populisti e xenofobi ci preoccupano

Parla il segretario generale della Ces Luca Visentini. La Confederazione europea dei sindacati riunisce 89 organizzazioni provenienti da 39 Paesi per un totale di 45 milioni d'iscritti.

Come il sindacato europeo partecipa alla vita politica della UE?

La Confederazione europea dei sindacati (CES) partecipa attivamente alla vita politica dell’Unione europea a più livelli. Innanzitutto, la CES incarna la voce dei lavoratori nel dialogo sociale europeo ed è l’unica organizzazione preposta a farlo. Questo ruolo è infatti riconosciuto ufficialmente dai trattati europei e permette ai rappresentanti del sindacato europeo di negoziare accordi quadro su scala continentale con le tre organizzazioni datoriali europee, Businesseurope, CEEP e UEAPME.

Ci sono degli obblighi europei?

Le disposizioni comunitarie prevedono l’obbligo di consultazione dei suddetti partner sociali per tutta una serie di politiche, prima ancora che queste vengano rese pubbliche, un aspetto fondamentale per come è attualmente organizzato il complesso iter legislativo dell’UE. In virtù del nostro ruolo di partner sociale abbiamo anche la possibilità d’incontrare i vertici delle istituzioni dell’Unione nei summit sociali di alto livello e di discutere con loro della situazione economico-sociale dell’UE e delle politiche in essere.

Quindi lavorate a stretto contatto con i politici?

Abbiamo contatti regolari e ufficiali con i presidenti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europei, senza dimenticarci delle molteplici riunioni ed incontri che manteniamo con i funzionari della varie direzioni generali (i ministeri europei), gli eurodeputati, le rappresentanze permanenti a Bruxelles e i vari governi nazionali. Organizziamo poi campagne d’informazione e di sensibilizzazione, le conferenze, le euromanifestazioni con i nostri sindacati membri.

Ci sono delle politiche e pressioni di opinione che sono state fatte negli ultimi anni da parte dei sindacalisti europei?

La nostra campagna “Stipendi più alti in Europa” ha concentrato la maggioranza dei nostri sforzi e delle nostre risorse nell’ultimo anno e mezzo, con risultati positivi. Il nostro ragionamento: solo grazie ad un aumento salariale diffuso in Europa, si può parlare di ripresa e l’economia può davvero ripartire grazie ad un incremento della domanda interna. C’è un persistente divario di genere, le differenze ingiustificate tra le retribuzioni dei lavoratori in Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale a parità di mansione e produttività, la questione giovanile, le esorbitanti ed immorali retribuzioni del top management.

Cosa avete ottenuto?

Alleanze e sponde politiche inimmaginabili fino a quel che tempo fa. A fine giugno, a Sofia in Bulgaria, celebreremo l’ultima tappa di questa campagna con la costituzione dell’alleanza per i salari (Wage alliance) che riunirà diversi governi europei, aziende multinazionali, organizzazioni datoriali, che si impegneranno ufficialmente a dare una prospettiva più lunga e stabile alle richieste cha abbiamo portato innanzi finora.

Altri temi toccati?

La sicurezza sul lavoro, molto sentita ultimamente in Italia, campagne sulla transizione giusta, ossia la riconversione lavorativa a cui devono aver diritto i lavoratori toccati dai processi di digitalizzazione, automazione e di adattamento alle disposizioni internazionali sul clima e l’energia pulita; campagne sul pilastro europeo dei diritti sociali, una specie di statuto dei lavoratori europeo; azioni di pressione sul tema degli investimenti.

Ci sono delle difficoltà di armonizzazione delle legislazioni che ostacolano un’azione comune?

Le difficoltà sussistono e noi siamo impegnati in prima linea a far sì che svaniscano. Prendiamo per esempio il tema della fiscalità, un aspetto centrale di qualsiasi politica pubblica. Ancora oggi, a livello europeo, sussiste l’unanimità, che impedisce molto spesso la presa di decisioni fondamentali in questo ambito, come una vera lotta al dumping fiscale, all’evasione, all’”ottimizzazione” o elusione fiscale o l’introduzione di una tassa sulle transizioni finanziarie. Si tratta di un tema spinoso su cui siamo molto attivi ma che necessita di un cambiamento profondo nei trattati che reggono l’Unione europea. Il nostro impegno a favore dell’armonizzazione delle legislazioni europee negli ultimi anni si è focalizzato molto sulla lotta al dumping sociale.

Risultati se ne vedono?

Il nostro sforzo sta progressivamente venendo ripagato, basti pensare all’adozione del Pilastro europeo dei diritti sociali, ora aspettiamo i fatti. Anche se ripristinare confini e barriere come soluzione a problemi comuni è una tendenza dannosa. Le prossime elezioni europee a maggio 2019 e la maggioranza politica che ne scaturirà saranno fondamentali a riguardo.

L’Europa è il luogo dove è nata la battaglia sindacale e il welfare. Obbedisce ancora a questo glorioso passato? Come?

Il nostro modello sociale è unico al mondo e ci è spesso invidiato dai nostri partner globali. Ciò nonostante, negli ultimi anni il modello sociale europeo è stato colpito ripetutamente e considerato - a torto! - dalla maggioranza dei leader politici europei come una fonte di problema piuttosto che un imprescindibile punto di riferimento. Gli anni della crisi hanno dimostrato come tutte quelle conquiste sociali possano essere fragili. Basti pensare a quanto è avvenuto in paesi come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna o il nostro, ma non solo. La tendenza generale a tagliare, riformare – sinonimo in numerosissimi casi di smantellare – i sistemi pensionistici, la protezione sociale, la negoziazione collettiva, i salari, le norme sociali, è stata sotto gli occhi di tutti ed ha prodotto serissimi danni.

Vi sentite attaccati?

L’attacco alle conquiste sociali è stato di fatto un attacco diretto al sindacato ed al suo ruolo a livello nazionale ed europeo. Il sindacato europeo in collaborazione con i suoi affiliati ha sempre cercato di reagire e di proporre soluzioni alternative. Grazie alla nostra perseveranza, siamo riusciti in parte a controbilanciare questo attacco e a rimettere al centro del dibattito tematiche quali l’investimento, i salari e i diritti sociali che tra il 2007 ed il 2015 erano praticamente sparite dalla circolazione. Stiamo rendendo più sociale il semestre europeo, ovvero il governo della moneta unica. C'è però ancora molta strada da fare. I benefici della nostra azione devono arrivare ai lavoratori, alle persone.

Cosa vi preoccupa in questo momento?

Il rafforzamento dei movimenti populisti, xenofobi e di estrema destra in quasi tutti i paesi membri dell’UE è un dato molto allarmante frutto delle inuguaglianze prodotte dalla crisi e dalle risposte sbagliate che molti governi hanno applicato. Vogliamo costruire un futuro dignitoso, prospero e socialmente giusto.

04/06/2018
di Christian D'Antonio
Twitter Facebook